A non-blog by Luca Ammendola

Mese: Febbraio 2021

HIKIKOMORI ovvero: COME HO IMPARATO A SMETTERE DI VIVERE E AD AMARE LA MIA PRIGIONE

Dal Film “Ready Player One” di Steven Spielberg

“Libertà va cercando, ch’è si cara, 

come sa chi per lei vita rifiuta.”

Purgatorio, Canto I, Dante Alighieri

Hikikomori, un fenomeno giapponese che ha attirato l’attenzione per la prima volta durante gli anni ’90, è una grave forma di esclusione sociale che comporta un ritiro completo dalla società per sei o più mesi. Attualmente è considerato come un fenomeno socioculturale di salute mentale, piuttosto che una distinta malattia mentale. Sebbene il fenomeno sia iniziato in Giappone, si sta rapidamente verificando in altri paesi di tutto il mondo. Il termine Hikikomori (derivato dal verbo hiki “ritirarsi” e komori “essere dentro”) è stato coniato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito ed è ora usato in tutto il mondo per descrivere chiunque soddisfi i criteri.

Il fenomeno è più comune nei giovani, in particolare nei giovani uomini, e la ricerca mostra che esperienze traumatiche come vergogna e/o sconfitta sociale sono comunemente riportate come fattori scatenanti in tutte le culture. Questi giovani adulti non sono in grado di lavorare, andare a scuola o uscire di casa per mesi o anni. Inoltre non creano né mantengono alcun rapporto personale al di fuori delle loro famiglie. Spesso hanno un senso di apatia che rasenta il nichilismo. Potrebbero essere disillusi dalla società in generale e avere una mancanza di motivazione ad interagire con qualcuno. Potrebbero anche avere difficoltà ad esprimere le proprie emozioni.

Gli hikikomori tendono a utilizzare Internet in modo profuso, preferiscono comunicare online e spesso trascorrono gran parte del loro tempo nel mondo digitale. L’emergere di smartphone, servizi di consegna di cibo e tutti i servizi che riducono l’interazione sociale hanno un effetto aggravante sulla questione. In sostanza oggi puoi vivere tutta la tua vita dal tuo letto e, indovinate un po’, questo è esattamente ciò che stanno facendo molti hikikomori.

Ora chiudete gli occhi per un minuto e ripensate agli ultimi dodici mesi della vostra vita… il fenomeno socioculturale di cui sopra suona familiare? Dovrebbe: siamo diventati tutti Hikikomori o siamo su tale pericolosa strada! Gli arresti domiciliari, obbligatori ed anticostituzionali, ci hanno imposto un tale stile di vita. Ci stiamo isolando nelle nostre case, ritirandoci dalle interazioni sociali, impossibilitati a lavorare, andare a scuola, radunarci, protestare, festeggiare, viaggiare, vivere l’arte, ridere insieme, piangere insieme, abbracciarci, fare sesso, incontrare persone nuove, condividere nuove idee… in una parola: vivere!

Inseriti in una realtà virtuale dettata dalla tecnologia, abbiamo “riunioni” su zoom, acquistiamo online, visitiamo musei virtuali, condividiamo idee su Facebook e rilasciamo le nostre frustrazioni sessuali su Pornhub. Nel frattempo la società intorno a noi si sta sgretolando in una catastrofe economica di proporzioni bibliche (e questo, in termini molto pratici, significa estrema povertà e morte) mentre un accaparramento delle risorse di stampo feudale da parte di multinazionali ed interessi finanziari ci sta rubando il futuro. E tutto questo per “combattere” un virus che, secondo l’OMS, ha un tasso di letalità (la possibilità di morire se prendi il virus) inferiore all’1%. E cioè un tasso di sopravvivenza del 99%, gente! Dobbiamo essere la generazione più isterica della storia umana.

ZÔÊ O BIOS

Gli antichi greci, persone molto più sagge di noi, non avevano un solo termine per esprimere ciò che comunemente chiamiamo vita. Usavano due parole: zôê, che esprimeva il semplice fatto di vivere, comune a tutti gli esseri viventi (animali, uomini o dei), e bios, che indicava la forma od il modo di vivere specifico di un individuo o di un gruppo. Una distinzione così elegante dovrebbe essere una fonte primordiale di conversazione in una società colta che affronta questioni di vita o morte. Tale distinzione ci costringe a porre la domanda più antica del mondo: cos’è la vita? O più precisamente cosa costituisce la vita umana? La vita umana non è altro che un cuore che batte ed un polmone che respira? Oppure la vita umana è definita dalla qualità e dalla quantità di esperienze che incontra?

Ovviamente è superfluo dire che non esiste bios senza zôê. Senza un cuore che batte ed un polmone che respira, nessuna esperienza può essere incontrata in questa realtà terrena. Ma questo è un dato di fatto superficiale e sempliciotto. La vera domanda interessante è: qual è lo scopo di un cuore che batte se tale cuore è privato di emozioni, ricordi ed esperienze che rendono il suo battito uno sforzo utile? L’atto di respirare è sufficiente per considerare l’esistenza umana un’esperienza degna di essere vissuta?

Uno dei mantra della quotidiana propaganda politica è che i lockdown, il distanziamento sociale, le maschere e tutte le altre misure assassine di libertà messe in atto da “esperti” non eletti, hanno lo scopo di salvare vite umane. In realtà, se questi sistemi hanno una qualche utilità (ed è un grande se) questa è di salvare la zôê, il semplice fatto di vivere. Ma così facendo uccidono la forma più importante di esistenza: il bios, la forma delle nostre vite. Cadiamo quindi in una strana contraddizione in cui politici e scienziati stanno uccidendo l’esperienza significativa e profonda dell’essere per salvare la nuda vita.

Un esempio pratico, anche se estremo, della distinzione tra zôê e bios è la condizione del coma irreversibile. In questi casi la nuda vita di un essere umano è mantenuta accesa tramite mezzi artificiali: il suo cuore batte, i suoi polmoni respirano e dal punto di vista medico il paziente è vivo. Ma che dire dell’esperienza umana? Senza entrare nell’intricata discussione sui sogni e sulla funzione cerebrale in uno stato comatoso, possiamo chiaramente valutare che gli esseri umani in tale stato non sono in grado di coltivare nuove esperienze né di nutrire emozioni. Il loro bios è de facto inesistente. Nella letteratura di fantascienza tale figura è rappresentata al meglio dallo zombi, una creatura che vive eppure non completamente umana. Nei nostri tentativi di combattere il virus ci stiamo “zombificando” e viviamo come se fossimo già morti.

Ovviamente la confutazione più comune a tale pensiero sarà: “ma questa è un’emergenza! Queste misure sono provvisorie! ”. Tale proposito è, a mio parere, imperfetto su molti livelli. Prima di tutto con un tasso di sopravvivenza del 99% possiamo davvero affermare che questa è un’emergenza? In secondo luogo, se questa è un’emergenza, quanto durerà? Molti scienziati sembrano credere che il virus sia destinato a restare e che la crisi attuale continuerà negli anni a venire. Per quanto tempo dovremmo sopravvivere piuttosto che vivere in nome dell’1% di possibilità di morire? In terzo luogo, siamo sicuri che queste misure siano provvisorie? Siamo sicuri che ciò che stiamo vivendo non sia il distanziamento sociale come modello politico? Un modello gestito da una matrice digitale che sostituisce l’interazione umana, che, per definizione, sarà d’ora in poi considerata fondamentalmente sospetta e politicamente “contagiosa”?

Abbiamo già sperimentato un tale cambiamento di paradigma dopo l’11 settembre. All’epoca la propaganda politica aveva un approccio molto simile nel convincerci che eravamo tutti in imminente pericolo e che per salvare le nostre vite dovevamo sacrificare sempre di più le nostre libertà. Tali argomenti sono stati sempre sottolineati dalla garanzia che tali misure sarebbero state provvisorie. Ovviamente vent’anni dopo i fatti le misure di sicurezza messe in atto sono ancora in piedi (si pensi alla sicurezza degli aeroporti, ai passaporti biometrici, allo spionaggio digitale dei cittadini da parte dei governi, alla raccolta di dati… solo per citare gli esempi più ovvi) La minaccia del terrorismo ha reso ciascuno di noi un potenziale terrorista e quindi una potenziale minaccia che deve essere sorvegliata. Con il virus, un terrorista invisibile che circola nell’aria, siamo diventati tutti potenziali vettori ed untori. Colpisce nel segno il filosofo italiano Giorgio Agamben quando afferma che “non è che i cittadini di tutto l’Occidente abbiano diritto alla sicurezza sanitaria, ora sono legalmente obbligati ad essere sani. Questa, in poche parole, è l’essenza della biosicurezza“. È intrinsecamente legato alla logica di questo pensiero che la pandemia avrà conseguenze che trasformeranno l’intera società in un’area monitorata, in una quarantena permanente, dove tutti saranno trattati come potenziali portatori del virus.

Il terzo articolo della Costituzione italiana (che ha ispirato la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite) afferma: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Il pieno sviluppo della persona umana è precisamente ciò che è in gioco nella nostra situazione attuale. Come possiamo aspirare alla piena espressione degli “angeli migliori della nostra natura” (per citare Abraham Lincoln) se uscire dalle nostre case è diventato un crimine? Come possiamo esercitare l’empatia e l’amore, il nostro senso morale e la nostra ragione? Come possiamo placare la nostra sete di conoscenza, crescita emotiva e relazioni umane? Come possiamo ancora chiamarci esseri umani se ciò che ci rende tali (l’essere) è incatenato alle catene della mera sopravvivenza? 

Facendo eco a questi principi, mentre sedeva in una prigione a Birmingham, Alabama nel 1963, il reverendo Martin Luther King Jr. descrisse in modo eloquente la nostra situazione quando scrisse: “Una legge giusta è un codice creato dall’uomo che coincide con la legge morale o la legge di Dio. Una legge ingiusta è un codice che non è in armonia con la legge morale. Qualsiasi legge che eleva la personalità umana è giusta. Qualsiasi legge che degrada la personalità umana è ingiusta… Uno ha non solo la responsabilità legale ma anche morale di obbedire alla giusta legge. Al contrario, si ha la responsabilità morale di disobbedire a leggi ingiuste”.

CROCEVIA

Stiamo vivendo tempi molto pericolosi, signore e signori, ed il vero pericolo non mi sembra il virus in sé, ma la nostra risposta sociale, politica e culturale ad esso. Sembriamo irremovibili nel voler aderire all’idea che la nostra nuda vita, rimossa dalla sua forma, sia il bene supremo a cui devono inchinarsi tutti gli altri beni. Questa è un’idea molto pericolosa ed un pensiero da schiavo.

I nostri nonni, quando la morte li guardava negli occhi, avevano una comprensione diversa. Quando la macchina da guerra tedesca ha investito l’Europa distruggendo, uccidendo e bruciando tutto ciò che gli era caro, hanno preso la coraggiosa scelta di reagire. Senza troppe esitazioni decisero che la loro libertà, il fuoco sacro che arde dentro gli esseri umani giusti, era più importante di ogni altra cosa, compresa la loro vita. Hanno capito che senza libertà, totale, non negoziabile, autodeterminante, tutte le espressioni dell’esistenza umana sono prive di qualsiasi significato profondo. E così hanno combattuto e sono morti a milioni per conquistare quella libertà che, noi oggi, stiamo compromettendo con noncuranza. Se, come noi stiamo facendo, avessero messo la loro nuda vita piuttosto che la libertà come bene supremo, oggi parleremmo tutti tedesco e la visione di Hitler sarebbe una realtà.

Ma noi? Cosa diremo ai nostri nipoti quando ci chiederanno di questi tempi? Diremo loro, con orgoglio, che per paura di infettarci con un virus con un tasso di letalità inferiore all’1% abbiamo sacrificato tutti gli altri valori? Che abbiamo buttato via tutte le libertà e le conquiste per le quali i nostri nonni hanno dato la vita? Ci gonfieremo d’orgoglio nel dire loro che, per paura, abbiamo cancellato i pilastri della nostra civiltà? 

Comprensibili ragioni di sicurezza sanitaria ci stanno imponendo l’accettazione di una limitazione indeterminata delle libertà personali, senza dibattito e senza che questo venga messo in discussione. In tal modo corriamo un serio rischio di dipendenza dalla schiavitù, con la combinazione di un sistema di informazione unidirezionale quasi totalitario. È chiaro che in una situazione del genere i popoli o si adattano o vanno verso gli estremi (espressione di rabbia dovuta anche alla percezione della violenza subita).

Tale percezione d’ingiustizia è in crescita esponenziale perché è sempre più evidente che il virus non si combatte rinchiudendo i cittadini, ma rafforzando la salute pubblica (distrutta dalle nefaste politiche del liberalismo). Non si combatte nascondendosi nelle nostre case, ma proteggendo l’1% tra noi che è più fragile. Non si combatte creando milioni di nuovi poveri ma potenziando le tempestive cure mediche sul territorio. Non si combatte mettendo in carica scienziati ed esperti crivellati da conflitti di interessi ma attuando linee guida chiare seguendo la conoscenza dei medici che hanno curato con successo migliaia di pazienti (e tali dottori sono tanti). Non si combatte con minore democrazia ma con più democrazia. Non si combatte con la censura ma con la discussione. Ma soprattutto non si combatte rinunciando a vivere in nome della sopravvivenza, bensì scatenando la parte migliore che risiede in tutti noi… lasciando spiccare il volo agli angeli migliori della nostra natura.

È ogni giorno più chiaro che siamo davanti ad un bivio e l’unica domanda che tutti dovrebbero porsi è da che parte della storia vogliono stare! Chi di voi ha paura del virus può chiudersi a chiave in casa, indossare due mascherine e fare la doccia con gel disinfettante. Vi capiamo e, se potremo, vi aiuteremo! Ma non pretendete egoisticamente lo stesso per tutti. Se passare anni della vostra vita sdraiati su un divano a guardare stupidi programmi TV su Netflix con Deliveroo che vi porta cibo semi fresco alla vostra porta vi sembra una vita degna di essere vissuta, fate pure! Ma non chiedete con arroganza a tutti di fare lo stesso. Se pensate che la libertà sia sopravvalutata ed un’accettabile moneta di scambio per la sicurezza sanitaria, sentitevi liberi di incatenarvi a qualunque padrone vi voglia! Basta non esortare istericamente che tutti siano ridotti in schiavitù! Se desiderate vivere in un mondo virtuale di realtà digitali, attaccate la spina! Ma non aspettatevi infantilmente che noi si smetta di passeggiare attraverso i mistici boschi delle nostre vite. Alcuni di noi non vogliono rinunciare a vivere per paura di morire. 

GLOBALIZZAZIONE ED IDENTITÀ

Dal Film “Il Nuovo Mondo” di Terrence Malick

Il capitalismo globalista neoliberale é animato da due tendenze diametralmente opposte nella prassi eppure assolutamente convergenti nello scopo. Queste propensioni sono di tipo sia politico che economico. La prima é una tendenza separativa mentre la seconda é una propensione all’omologazione. La tendenza separativa del capitalismo neoliberista é una manovra politica il cui scopo é il tentativo di praticare il famoso adagio romano “divide et impera” mentre la propensione all’omologazione culturale delle masse é una condizione sine qua non di unificazione del mercato, dei consumatori e dei prodotti. Queste due aspirazioni, malgrado la loro apparente divergenza, altro non sono che le due principali metodologie rivolte al mantenimento, rafforzamento e sviluppo del sistema. 

TENDENZA SEPARATIVA

Il sistema economico/politico capitalista, come Marx ha spiegato molto meglio di me, è naturalmente, strutturalmente, divisivo. Esso infatti tende a creare, rinforzare e favorire la divisione societaria in classi di “vincitori e perdenti”, sfruttati e sfruttatori. La deriva globalista e neoliberale del capitalismo odierno ha, non solo evidenziato questa tendenza innata del sistema, ma l’ha accentuata. Ai giorni nostri la spropositata differenza tra ricchi e poveri è cresciuta a dismisura e tende ad accelerare. A titolo di esempio, riporto il seguente dato: durante l’anno 2018 un lavoratore medio di Amazon ha guadagnato 30.000 dollari; più o meno lo stesso ammontare che Jeff Bezos, CEO della compagnia, guadagnava ogni 10 secondi

Sebbene il capitalismo globalista neoliberale abbia come unico scopo il maggior profitto per il minor numero di persone possibile, questa discrepanza tra il potere economico dei “padroni del vapore” e la stragrande maggioranza del popolo è diventata un grave problema. Ovviamente è un problema per il popolo lavoratore, che vede il frutto del suo lavoro travasato e concentrato nelle mani di un’élite transnazionale, ma è diventata un problema anche per l’élite stessa che, responsabile dell’ingiustizia sociale (o furto legalizzato) in atto, corre il rischio di farsi travolgere da un sempre più supponibile “risveglio delle coscienze”. 

Una delle strategie adottate dai “padroni del mondo” per rispondere a questo problema, e sovvertire ed incanalare la crescente rabbia del popolo, è quella, come menzionato prima, dell’utilizzo del vecchio stratagemma romano del “dividi e comanda”. Il pericolo più grande per lo status quo, infatti, è un condensamento partitico del popolo. Una massiccia organizzazione di intenti ed un coordinamento politico di essi segnerebbe la fine dell’attuale sistema nel giro di poco tempo. È quindi di fondamentale importanza, dal punto di vista delle elite, di assicurare che ciò non avvenga. Ogni forma di accomunamento di obiettivi, di aggregazione comunitaria e di compattezza legislativa deve essere (e di fatto lo è) bloccata, ostracizzata e scoraggiata

Il sistema capitalistico, infatti, ha come primo nemico il patto sociale inteso come difesa degli interessi dei molti e come tentativo coesivo della confraternita umana. L’apparato economico e politico dominante desidera quindi individui svuotati di ogni appartenenza collettiva e perciò individui politicamente solitari ed incapaci di rifiutare tutto quello che il capitale vorrà imporgli. 

Questa tendenza politicamente separativa risulta evidente in molti aspetti della vita sociale e lavorativa attuale. Dal depotenziamento sistematico dei sindacati, al depauperamento del lavoro comunitario in favore, per esempio, del telelavoro o della gig economy, che sfrutta il lavoratore nella sua condizione di atomo separato dalla comunità lavorativa (e per di più privo di qualsiasi forma di diritto), sono molti gli esempi che si potrebbero fare di tale corrente. Ma nessun esempio è più evidente ed oppressivo del perpetuo sforzo separativo identitario (individuale ed individualista). 

Tale sforzo – culturale, mediatico e propagandistico – si pone come obbiettivo di separare la massa, il popolo, che se unito rappresenterebbe un potenziale rivoluzionario, in piccoli nuclei rinchiusi su se stessi, non comunicanti, antagonisti e quindi in constante lotta tra loro. Questa viene spesso giustamente definita come “lotta tra poveri”

Il popolo viene quindi incitato dal potere, principalmente tramite la propaganda, a formare fazioni in contrasto tra loro. Queste fazioni, o dicotomie non dialoganti, vengono continuamente ed in alternanza fomentate dalla classe dirigente tramite la leva dell’identità individuale, particolare ed esclusiva. Vediamo quindi salire sul ring del conflitto sociale bianchi contro neri, nativi contro migranti, uomini contro donne, Cristiani contro Mussulmani, eterosessuali contro omosessuali, sì-vax contro no-vax e via discorrendo. Questi conflitti, seppure spontaneamente esistenti, vengono amplificati di continuo sia dalla grancassa mediatica sia dal sistema stesso che, producendo masse di diseredati costretti a competere tra loro, crea i presupposti del conflitto. Lo scopo di tale operazione è quello di spingere il popolo diviso a combattere contro se stesso in maniera orizzontale ed a distrarlo dalla vera fonte del suo malcontento (il sistema capitalistico elitario) che richiederebbe invece una lotta verticale contro i guardiani della condizione sociale stabilita. 

In altre parole l’attitudine separativa del sistema capitalistico altro non è che un’arma di distrazione di massa sguainata in difesa della conservazione acritica e statica del sistema stesso. Il cittadino viene portato a credere che la colpa della sua condizione sia, per esempio, del migrante e che se dovesse sparire esso questo cambierebbe la sua situazione sociale ed economica. Al contempo si spinge il migrante a credere che non è ben voluto dalla popolazione nativa a causa del colore della sua pelle e non perché, probabilmente senza saperlo, è arrivato in un paese il cui tessuto sociale ed economico è allo stremo e la sua presenza è quindi vista come di troppo. Queste narrative contrapposte e specificamente mirate, permettono al sistema ed ai suoi difensori di trasformare due potenziali alleati in acerrimi nemici. 

Questo è un vecchio trucco ma è molto efficiente.  Un po come dei mestieranti borsaioli, i difensori del potere costituito distraggono il cittadino attirando la sua attenzione con la mano sinistra e rubandogli il portafogli con la destra. 

TENDENZA OMOLOGANTE

La seconda propensione del capitalismo globalista è diametralmente opposta a quella appena descritta. Il sistema economico globalista, infatti, si forma su quella che il filosofo Diego Fusaro chiama “l’inclusione neutralizzante” e cioè una necessaria, dal punto di vista del sistema, neutralizzazione delle specificità culturali regionali. Ciò ha una funzione prettamente economica. 

L’incarico economico di tale tendenza è quello di standardizzare il modello di produzione ed il modo di consumo delle merci. Per sintetizzare tale compito possiamo citare la famosa esclamazione di Henry Ford che, parlando della scelta che i suoi clienti avevano sul colore delle sue automobili, disse: “Possono scegliere il colore che vogliono. Purché sia nera!”. Ecco, il capitalismo globale, similmente, esclama: “Potete scegliere il prodotto che preferite. A patto che sia il nostro!

Lo scopo del capitalismo globalizzato è quello di vendere il maggior numero di prodotti al maggior numero di consumatori possibili. Per conseguire nel suo intento il sistema necessita di consumatori neutri, indistinti, narcisisti ed anzitutto omologati. Ciò permette al mercante di espandere esponenzialmente il mercato e quindi il numero di consumatori raggiungibili dallo stesso prodotto. In altre parole, per raggiungere il massimo ricavo possibile, il sistema capitalista globalizzato desidera che tutto sia medesimo. Medesimo deve essere il prodotto cosi come medesimo deve essere il consumatore. 

La tendenza omologante del mercato è particolarmente visibile nel campo vestiario. Le nuove frontiere della moda si spingono sempre di più verso una proposta assottigliata di differenze. Basti pensare ai capi unisex o al prêt-à-porter omogeneo sia che sia venduto in Italia sia che sia venduto in Cina. L’esempio forse più lampante di tale omologazione lo troviamo nelle famose pubblicità “United Colors” del marchio Benetton dove bambini di tutte le razze, e quindi rappresentanti di diverse culture, posano insieme vestiti tutti nello stesso modo. Insomma “United Colors” sì, ma sotto il segno del verde dollaro. 

Il più grande ostacolo a questo relativismo consumistico rimane quindi l’identità regionale e culturale sotto l’auge della specifica tradizione popolare. Tale tradizione, derivante dalla particolare storia di un dato popolo, riflette la sua peculiarità e quindi, di conseguenza, la sua identità. Tale tipicità regionale é ciò che il capitalismo globale rifiuta e tenta di distruggere e livellare con ogni mezzo, sia esso propagandistico, culturale, politico o economico. Non deve quindi stupire che le due visioni politiche prevalenti si biforchino tra sovranismo e globalismo e che quelle economiche tra produzione e consumo globalizzato e produzione e consumo a chilometro zero

Insomma la “open society” capitalista e globalista altro non vuole che una società svuotata dei suoi valori culturali specifici, una società che quindi, priva di tradizione, sia plasmabile a piacimento dal mercato e nella quale poter inserire prodotti fabbricati in massa e consumati dalla moltitudine. Tale sistema economico brama a neutralizzare ogni aspirazione comunitaria che non sia quella dello scambio commerciale, e cioè il mercato. Lo Stato, organo fondamentale per l’espressione democratica della polis, viene quindi estorto della sua funzione congenita ed obbligato a governare PER il mercato invece di governare IL mercato

Va brevemente ricordato che tutte le dittature tendono all’omologazione perché ciò distrugge l’individualità e di conseguenza depotenzia l’attitudine e l’abitudine al dissenso. L’esempio concreto è l’uniforme imposta dal dittatore; la quale da una parte accomuna chi l’indossa e dall’altra uccide ogni forma di originalità. La peculiarità della dittatura finanziaria odierna è che contemporaneamente promuove l’uniformità dei gusti ed incoraggia una finta scelta (il “Purché sia nera!” fordiano che aggiornato diventa “Purché siano jeans!”). Per riassumere si potrebbe dire che senza radici culturali il cittadino perde la sua identità regionale specifica, senza identità egli perde il senso di appartenenza ad una comunità e senza consapevolezza comunitaria perde la sua capacità di resistere. Il che è esattamente ciò che il sistema vuole. 

Seguendo questo pensiero una domanda sorge spontanea: se lo scopo del sistema è quello di omologare le eterogenee culture, a quale cultura dominante devono esse adeguarsi? Quale é l’archetipo originale da clonare? La risposta è ovvia e scontata. Il modello culturale cannibale ed oppressore è quello dell’ “American way of life”. Un modello Nord americano basato sul consumo sfrenato e di bassa qualità, sull’individualismo estremo, sulla competizione selvaggia e promotore di una cultura infantile ed infantilizzante. Insomma il modello “fast-food and quick money” (cibo veloce e soldi rapidi). 

IDENTITA E FRONTIERE

La più grande fallacia del pensiero moderno consiste nel confondere il giusto e necessario anelito di eguaglianza con l’erronea e distruttiva pretesa d’identicità. Mentre l’eguaglianza è una sacrosanta rivendicazione politica edificata sulla giustizia, sia sociale che economica, l’identicità é un tentativo prepotente e tirannico di livellamento del diverso. Tale livellamento presume, come abbiamo visto in precedenza, un’accostamento collettivo ad un modello base (nel nostro caso quello Nord Americano) dal quale clonare le molteplice manifestazioni dell’essere. Come un virus, l’identicità si impadronisce dell’altro per renderlo medesimo, distruggendo cosi l’identità individuale e collettiva dei popoli. 

L’identità, infatti, può esistere solo nella differenza. L’uno è uno perché non è l’altro. Io sono io perché non sono te. È precisamente nella mediazione delle differenze che l’individuo comprende, nutre ed arricchisce la propria specificità. Il dialogo, aperto e rispettoso, quindi, diventa un mezzo necessario per far si che due realtà distinte possano comunicare. Senza differenza il dialogo diventa un monologo ripetitivo ed avvilente, assassino della fantasia, dell’educazione e della relazione. Al contrario il vero dialogo costringe le parti al tentativo di comprensione dell’altro senza perciò abbandonare la propria prospettiva. Cosi facendo il vero dialogo arricchisce ed abbellisce la propria identità e quella dell’altro tramite il confronto.

Tale peculiarità dell’esperienza umana è maggiormente percepibile nell’atto di viaggiare. Durante il viaggio il cittadino entra in contatto con una realtà sociale e culturale diversa dalla sua. Da essa, in primo luogo, osserva ed impara visioni, riti e approcci diversi all’avventura umana ed in secondo luogo li confronta con i propri. L’esplorazione del diverso accresce la sua saggezza ed il confronto con essa accresce la propria consapevolezza identitaria. Chiunque viaggi, una volta ritornato a casa, porta con se non solo nuove conoscenze ed il profumo di mondi lontani, ma anche una nuova sensibilità nell’osservare i propri giardini. 

È un’evidenza troppo spesso dimenticata che ogni cultura, per quanto diversa, altro non è che una manifestazione della razza umana. L’umanità, in sé unitaria, si distingue nella sua pluralità, complessità e varietà. L’identità culturale regionale, infatti, altro non è che un’identità narrativa derivante da specifiche storie, tradizioni e memorie.

Cosi come tra due esseri umani, a livello micro, l’io identitario nasce dalla distinzione dall’altro, a livello macro la cultura nazionale si distingue geograficamente attraverso il confine. Il confine nazionale, la frontiera, altro non è che delineamento dei limiti di una realtà al di là dei quali esiste l’altro. Tale limite definisce l’identità storica, culturale e tradizionale di un popolo ma anche, e forse sopratutto, ne determina la sovranità, e cioè la possibilità di governare il proprio destino

In tempi di guerra antichi l’aggressore vittorioso, come prima mossa, abbatteva le mura della città conquistata. L’abbattimento delle mura era una conquista per l’aggressore ma una perdita per l’aggredito. Durante la guerra del Peloponneso quando Sparta conquista Atene sul campo di battaglia ordina, secondo i patti di resa stipulati, di abbattere le sue mura. Ciò non avviene per unire Sparta ed Atene in fratellanza bensì per lasciare Atene nuda, per così dire, indifesa, vulnerabile al comando di Sparta. Non dovrebbe quindi stupire che Atene non avrebbe mai più recuperato la sua antica prosperità e che il crollo delle sue mura sigli la fine del secolo d’oro della civiltà ellenica. L’abbattimento del confine è sempre un’atto di colonizzazione da parte dell’esercito o del pensiero o del sistema economico dominante il quale, come abbiamo visto ripetutamente, desidera imporre la propria supervisione e di conseguenza dominare l’altro. Se ne deduce che il famoso discorso di Pericle agli Ateniesi “Qui ad Atene noi facciamo così”, nel quale il famoso politico descrive le caratteristiche della democrazia ateniese, una volta cadute le mura della città, non sussiste. Senza le mura che delineano Atene non esiste più un “qui” ne un “noi”. E senza di essi è impossibile definire il “facciamo cosi” distinto da un’altro fare. 

Per tornare ai nostri tempi, è chiaro che i principi di nazione, sovranità, tradizione ed identità culturale sono sotto attacco da un sistema economico antropofago che intende distruggere il diverso per imporre il suo medesimo. In questo contesto pare ovvio che l’attuale demonizzazione delle frontiere nazionali non è altro che un trucco del capitalismo il quale desidera colonizzare le menti ed i corpi del mondo in nome del profitto. Le campagne politiche e mediatiche concepite per esecrare il principio stesso di nazione come principio intrinsecamente razzista, guerrafondaio e isolazionista servono al capitale transnazionale per distruggere ed abolire tutti i sistemi di difesa giuridici, politici ed economici a disposizione dei vari popoli. La società “no border” globalista e capitalista desidera veder trionfare il medesimo su scala globale: una lingua, un pensiero, una legge, un solo modo di produrre e consumare… insomma un’unico modo di vivere dettato e controllato da un’élite sempre più ristretta. 

Possiamo quindi concludere che esistono due tipi di universalismo: il primo percepisce come unico modo di unione il livellamento e l’indistinzióne delle parti il secondo, al contrario, celebra e difende le differenze come unico atteggiamento sano e fraterno di stare al mondo. 

NEOCOLONIALISMO

In un’episodio del capolavoro di Fëdor Dostoevskij “I fratelli Karamazov” una nobildonna tanto pia quanto ricca rende visita allo starec (mistico cristiano) Zosima nel suo monastero. Mossa da una profonda crisi di coscienza gli confessa che: “Io amo l’umanità, ma con mia grande sorpresa, quanto più amo l’umanità in generale, tanto meno mi ispirano le persone in particolare.” L’episodio descritto dal maestro russo descrive perfettamente il dilemma nel quale le società odierne si trovano.

Spinti da un’onesto desiderio di convivenza pacifica e fraterna, i popoli, guidati dalla propaganda globalista, credono che le frontiere siano il problema dimenticando che la vera uguaglianza e la vera fratellanza non è l’eliminazione delle differenze bensì è sviluppo di esse nel rispetto della loro identità specifica e dunque della loro alterità. La vera uguaglianza, insomma, è l’antitesi dell’omologazione. O come esclama uno dei personaggi dell’Idiota, sempre di Dostoevskij: “Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo se stessi.”

Ed è per questo strano gioco dell’animo umano che la “no border open society” altro non è che la forma più becera di nazionalismo. Il vero nazionalismo, infatti, è la riduzione delle differenze culturali ad uno; il desiderio, appunto, d’imporre una visione (la “American way of life”) su tutte le altre e di omologare tutte le espressioni umane. Questo si chiama colonialismo.

Vi lascio con degli estratti del “Discorso agli ateniesi” di Pericle, pronunciato ormai 2500 anni fa. 

La nostra forma di governo non entra in rivalità con le istituzioni degli altri. Il nostro governo non copia quello dei nostri vicini, ma è un esempio per loro. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così

QUANDO LE FORMICHE SI INCAZZANO

Dal Film “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo” di Steven Spielberg

Nota per il lettore: il seguente articolo è stato scritto da mio padre Luciano Ammendola. Sebbene non sia necessariamente d’accordo con tutto ciò che scrive, trovo la sua prospettiva interessante e volevo condividerla con voi.

Se Voi, cari lettori, siete tra quelli che intendono la BORSA VALORI (Milano, Londra, New York) un luogo dove vengono scambiate delle partecipazioni di proprietà (Azioni) di società i cui proprietari originali hanno deciso di monetizzare la crescita del loro bambino emettendo, per il pubblico investimento, delle azioni e siete convinti che la variazione di prezzo sia collegabile al buon andamento economico della loro creatura oltre a rispondere a fattori esogeni come il tasso di inflazione, il costo del denaro, la progressione del fatturato, la disoccupazione allora siete educati a considerare come il prezzo di mercato in Borsa sia legato alla domanda e offerta creata da quanto appena descritto. Ebbene dimenticatelo: non vale più tale storica descrizione.

LA STORIA DI GAMESTOP 

Si tratta di una società videoludica creata a cavallo del secolo di compra/vendita di Video games per i quali la gioventù diventava pazza; ebbe ad avere oltre 5500 negozi nel mondo ma quello ancora più stupefacente fu il fatto che creò un luogo simbolo per “afficionados”, un luogo di incontro dove si poteva comprare, vendere e scambiare Video Games, creando una passione ed una fedeltà alla marca. 

Poi verso il 2005 arrivarono Google, Amazon, Apple e Steam: andare in un negozio a comprare un Videogioco od un CD  divenne obsoleto in pochi mesi e venne ucciso dalla crescente digitalizzazione dei Video games potendo scaricare i giochi direttamente dai portali virtuali senza quindi più acquistare il supporto fisico. Ed il fatturato  Gamestop inizio’ a capitombolare.

Durante il  2020 i più aggressivi Hedge Funds d’America decisero che Gamestop sarebbe andato a gambe all’aria ed iniziarono a vendere massicciamente allo scoperto il titolo della società. Dato che quasi tutti gli Hedge Fund non ragionano più con il pensiero dell’uomo ma con gli algoritmi del loro computer, ecco che furono in tanti a scommettere sulla morte di Gamestop. Oltre alla loro potenza finanziaria i grandi Hedge Funds hanno anche il potere di influenzare il romanzo finanziario in corso sparando sulla vittima che hanno deciso di uccidere dai giornali specializzati. Normale amministrazione per dei pescecani abituati ad azzannare le proprie prede. 

Spero sia facile per voi capire quale montagna venne creata dagli algoritmi che agivano all’unisono. Sul mercato si arrivo’ a registrare un numero di azioni vendute allo scoperto superiore a quello esistente nel patrimonio della società. Sottolineo l’incredibile: venduta in quantità molto più grande di quella esistente!!!

E qui nasce la più bella e misteriosa storia del 2021: le formiche, i piccoli investitori, si incazzano! Sono troppo vecchio per farmene una spiegazione facile , ma resta il fatto che nel giro di poche settimane le formiche si compattarono al grido:

“Adesso basta! Siamo stufi che gli Hedge Funds abusino dei mercati finanziari: hanno voluto stravincere ed adesso noi li fottiamo”. C’é chi dice che tale alleanza elettronica sia stata più sentimentalmente creata per l’amore che le formiche avevano per la Gamestop della loro gioventù. Dubito di tale tenerezza, ma é bello immaginarlo.

L’unione delle formiche viene attuata in un battibaleno grazie ad un sito, Redditt, che conta più di due milioni di seguaci in un ramo specifico “Wall Street Bets”. Il passa parola elettronico scatena gli acquisti prendendo impreparati gli hedge Funds: le formiche massacrano l’elefante.

Sta di fatto che coordinandosi con delle case di brokeraggio indipendenti (Robin Hood ad esempio) iniziarono  a comprare titoli Gamestop ad inizio Gennaio a 17 USD per portarli a USD 347 in questi giorni.

Le formiche hanno spaccato l’elefante Hedge Fund in quanto era allo scoperto come detto in quantità superiori alla capitalizzazione stessa. Per vostra conoscenza quando vendi allo scoperto non devi garantire tutto lo scoperto ma solo un 20% circa: ma se il tuo scoperto che devi garantire passa da 17USD a 347USD, l’effetto leva ti ammazza: devi correre a coprire il tuo scoperto in un bagno di sangue di perdite.

Cito il WALL STREET Debt e le formiche più incazzate:

“Gli Hedge Funds avevano tentato di esibirsi al di là della loro fame di soldi. È arrivata l’ora che gustino il sapore delle loro medicine.

“Ne faccio una questione personale cosi’ come per milioni di altri investitori . Vorrei vedervi soffrire fino alla fine.”

“Esisteva ed esiste una classe dirigente il cui unico scopo é conservare il potere. Ci illuminano facendoci pensare che stanno pensando al nostro meglio. Sono convinti che l’1% abbia più cervello del restante 99%. La nostra guerra deve infliggere non i titoli azionari ma una vera rivoluzione finanziaria.

Quando é la rabbia che gestisce il campo tutte le situazioni più assurde possono nascere. Il popolino é incazzato perché é stato frustato, accantonato, segregato da un benessere spropositato del quale hanno gioito una minutissima percentuale di Benedetti da Dio ed inoltre viene adesso sballonzolato da un Virus che ovviamente fa molti più morti tra i diseredati. 

I poteri forti hanno reagito in maniera brutale riuscendo a far sospender la trattativa in Borsa delle azioni Gamestop (questo non succede mai quando a prendere gli schiaffi sono i piccoli investitori) in diverse sedute. Al momento in cui scrivo l’apertura in Borsa di Gamestop è prevista al rialzo del 10% dopo che si è sparsa la voce che Elon Musk (l’uomo dell’auto elettrica più ricco del mondo) si sia alleato alle formiche. 

Le follie borsistiche che vi ho illustrato altro non sono che la faccia finanziaria delle altre rivolte in corso siano esse razziali, sociali, politiche e religiose.

STRATEGIA FINANZIARIA

Keynes scrisse “è meglio fallire in modo convenzionale piuttosto che riuscire in modo inusuale”.

Rispetto a quando scriveva Keynes la situazione è drammaticamente peggiorata. Ho lavorato in Borsa con delle posizioni importanti sino a pochi anni fa e dalla fine degli anni 80 prima molto timidamente , ma via via crescendo i mercati hanno cessato di essere l’onesto specchio dell’economia che rappresentano

Mi tocca, per mestiere, dare dei suggerimenti finanziari a seguito della rivolta delle formiche. Penso che l’incazzatura del popolino non sia affatto finita. Troppo enormi sono le discrepanze tra straricchi ed il resto del mondo per non presumere un intervento politico. Ovviamente mi rimangio tutto se Biden si rivela essere solo la lunga manus dei poteri forti.

Per il momento quindi, per i più tradizionali dei miei investitori consiglio di stare fuori dalle Borse, per quelli più aggressivi di prendere delle posizioni scoperte sulle azioni più piccole degli Stati Uniti (Indice Russell 2000) oppure acquistare degli indici di volatilità viste le follie qui sopra descritte.

Sono favorevole a posizioni in oro (10%) ed immobiliari nei paesi Giusti (Grecia, Londra, Berlino).

ALEXEY NAVALNY: EROE O BURATTINO?

Dal Film “Biancaneve e i sette nani” di William Cottrell

Nota al lettore: questo articolo non vuole assolutamente sostenere che Vladimir Putin sia un Santo Patrono della democrazia, che non ci sia nessun tipo di corruzione all’interno dei suo governo o che l’omicidio (o il tentato omicidio) politico sia inconcepibile (ma chi é senza peccato scagli la prima pietra). L’intento è semplicemente di dare uno sguardo più attento al personaggio di Alexey Navalny.

Chi è Alexey Navalny? Sul suo profilo Wikipedia apprendiamo che è nato nel 1976 a Obninsk a circa 100 chilometri a sud-ovest di Mosca ed è di discendenza ucraina. Viene descritto, sempre da Wikipedia, come “un leader dell’opposizione russa, politico, avvocato e attivista anti-corruzione.” Navalny è arrivato alla ribalta internazionale organizzando manifestazioni contro la corruzione del presidente Vladimir Putin e del suo governo. 

Come possiamo leggere sul suo profilo ufficiale è stato formato all’università statunitense di Yale quale membro del “Greenberg World Fellows Program”, un programma creato nel 2002 per il quale vengono selezionati ogni anno su scala mondiale appena 16 persone con caratteristiche tali da farne dei “leader globali”. Essi fanno parte di una rete di “leader impegnati globalmente per rendere il mondo un posto migliore”, composta attualmente da 291 membri di 87 paesi, l’uno in contatto con l’altro e tutti collegati al centro statunitense di Yale.

Nel 2000 Navalny si è unito al Partito Democratico Unificato russo Yabloko, un piccolo partito all’interno del panorama politico russo (Per intendersi alle ultime presidenziali Yabloko ha ottenuto l’1.05% delle preferenze). Nell’aprile 2004, Navalny diventa capo dello staff della filiale di Mosca ma nel 2007 ma viene espulso per le sue opinioni nazionaliste

Nel 2005 co-fonda il movimento «Alternativa democratica», uno dei beneficiari della National Endowment for Democracy (Ned), potente «fondazione privata non-profit» statunitense che con fondi forniti anche dal Congresso finanzia, apertamente o sottobanco, migliaia di organizzazioni non-governative in oltre 90 paesi per «far avanzare la democrazia». È un segreto di Pulcinella che la Ned è una delle succursali della CIA per le operazioni sotto copertura, la quale è stata, ed è tuttora, particolarmente attiva in Ucraina. Nel paese dei suoi avi Navalny ha sostenuto la Rivoluzione di Maidan che, a sua detta: “ha abbattuto un governo corrotto che impediva la democrazia». Poco importa che, con il putsch di Piazza Maidan, sia stato insediato a Kiev un governo ancora più corrotto, il cui carattere democratico è rappresentato dai neonazisti che vi occupano posizioni chiave (ed il mio non é un’eufemismo, sono letteralmente dei neonazisti che promuovono apertamente idee come “la supremazia della razza bianca” ed “il potere bianco”).

Un’altro aspetto interessante che vi invito a considerare è il fatto che la moglie di Navalny è la figlia di un potente ex operatore del KGB e banchiere responsabile di proprietà russe a Londra, Boris Abrosimov. Abrosimov è un collega del più noto ex colonnello del KGB e oligarca russo Alexander Lebedev, proprietario ed editore di alcuni giornali britannici, il cui figlio è recentemente diventato Pari d’Inghilterra (un titolo nobiliare). Tutto questo sembrerebbe indicare che Navalny è profondamente legato ai luoghi oscuri in cui i servizi segreti russi e occidentali, ed i loro banchieri, forgiano legami confidenziali.

Comunque sia nel 2007 Navalny crea un secondo movimento politico chiamato “Il Popolo” il quale presenta un programma palesemente xenofobo, nazionalista, identitario ed anti immigrazione. Nello stesso periodo registra video blog in cui paragona le persone del Caucaso del Sud a carie dentali ed i migranti a scarafaggi che andrebbero schiacciati. In uno di questi video Navalny interpreta la parte di un conduttore di televendite, spiegando i vari rimedi disponibili per scacciare insetti e scarafaggi. Sul finire del video però questi animali si trasformano all’improvviso in estremisti religiosi di chiara fede islamica, che Navalny consiglia di scacciare con l’uso di una pistola.

Ecco il link del video: https://youtu.be/oVNJiO10SWw  

Nel 2013 si candida come sindaco di Mosca, arrivando secondo dopo l’incombente Sergey Sobyanin. Raccoglie il 21.9% dei voti contro il 60.1% del suo avversario

Nel 2018 decide di entrare nella corsa presidenziale. Tuttavia non gli è stato permesso di candidarsi a causa di due condanne condizionali per frode (anche se dobbiamo considerare che stava tra l’1% ed il 4% nei sondaggi di opinione prima che fosse dichiarato inammissibile per l’elezione).

Le posizione ed idee politiche di Navalny, come abbiamo visto, sono di estrema destra, anti immigrazione ed anti omosessuali. Le sue opinioni economiche, invece, favoriscono la privatizzazione ed il libero mercato, ed è sostenuto da molti capitalisti post-sovietici, dall’oligarca Mikhail Khodorkovsky all’ex capo della Banca centrale russa, Sergei Aleksashenko. 

È importante sottolineare che la sua popolarità è alta solo nelle grandi città e la situazione nelle regioni è drasticamente diversa. Mentre per alcune persone rimane semplicemente un personaggio ignoto, e molti rimangono neutrali, le persone in generale sono più diffidenti nei suoi confronti di quanto non siano diffidenti nei confronti del governo russo o di Putin personalmente. La sua popolarità è cresciuta un po ‘sulla scia del presunto avvelenamento (di cui scriverò a breve) ma rimane una figura di poco rilievo politico. Nell’ultimo sondaggio sul numero di persone che si fidano di figure politiche significative nel panorama politico russo, fatto nell’agosto 2020, Navalny si é piazzato al terzo posto con il 2% (dopo il 40% di Vladimir Putin e il 4% di Vladimir Zhirinovsky).  Infatti, dando un’occhiata ai risultati elettorali ed a tutti i sondaggi disponibili é chiaro che l’opposizione più significativa al presidente Vladimir Putin non è Navalny. Il vero partito di opposizione é il CPRF (Il Partito Comunista della Federazione Russa) il quale detiene una consistente presenza alla Duma. 

Eppure il Wall Street Journal descrive Navalny come “l’uomo che Vladimir Putin teme di più”

EROICA ICONA DELL’OCCIDENTE

È interessante notare che il giornale “La Stampa”, nel 2012, parlava di Navalny come “blogger xenofobo” definendo “galassia destrorsa” e “ultranazionalista” l’area politica entro cui militava e milita tutt’ora. Eppure otto anni dopo lo stesso giornale descrive Navalny come “il Nelson Mandela russo” (addirittura!!). Cos’è cambiato in questi otto anni? Ebbene Navalny é stato avvelenato da Putin in un malefico tentativo di far fuori il suo “più pericoloso rivale”. Almeno questa é la storia ufficiale come viene raccontata dalla CNN, la BBC, e tutti quei valorosi fari della verità comunemente conosciuti come informazione di massa. Ovviamente i fari della verità dimenticano di precisare che il “più pericoloso rivale” di Putin é un’uomo che non ha mai ricoperto alcuna carica, il suo partito politico non ha un solo parlamentare alla Duma, e detiene circa il 2% di sostegno del popolo russo. Ma tralasciamo questi piccoli dettagli e veniamo ai fatti. 

Il 20 Agosto del 2020 Navalny si ammala gravemente mentre è a metà volo da Tomsk, in Siberia, e Mosca. L’aereo viene bruscamente dirottato per effettuare un atterraggio di emergenza nella città siberiana di Omsk, dove Navalny è immediatamente ricoverato in ospedale per sospetto avvelenamento e posto in coma farmacologico. 

Due giorni dopo, Navalny viene trasportato in aereo in Germania in un’evacuazione organizzata da una ONG per i “diritti umani” con sede a Berlino. Il suo trasporto, su un “aereo/ambulanza” con a bordo specialisti tedeschi, viene autorizzato dalle autorità russe.

Mentre i medici russi a Omsk (che hanno probabilmente salvato la vita di Navalny) sostengono di non aver trovato alcuna prova di sostanze di armi chimiche nel suo sistema, il governo tedesco dopo un rapido esame annuncia che il loro laboratorio militare ha scoperto “prove inequivocabili” che Navalny è stato avvelenato da un’agente nervino risalente nell’era della guerra fredda, il Novichok. Il governo tedesco chiede spiegazioni al Cremlino senza però fornire nessuna di queste prove ne a Mosca ne al pubblico

Nonostante fosse la presunta vittima di un agente nervino militare estremamente letale, considerato peggio del sarin o del gas VX, tre settimane dopo Navalny esce dal coma giurando, con aria di sfida, un ritorno in Russia. 

Per pura coincidenza tutto questo succede proprio mentre il Nord Stream 2, la seconda linea dell’enorme gasdotto in costruzione dalla Russia alla Germania a cui si oppongono gli Stati Uniti e diversi alleati della NATO, è quasi completata. Improvvisamente, lo scontro diplomatico tra Germania e Russia ferma il controverso progetto. La cancelliera Angela Merkel ed il governo tedesco, sotto pressione da Washington, considerano se ritirarsi dal progetto che aumenterebbe l’influenza russa sulle infrastrutture energetiche europee e competerebbe con le esportazioni più costose degli Stati Uniti. Ma non pensateci troppo, sono solo teorie cospirazioniste

Comunque sia, tre giorni prima dell’inaugurazione di Joe Biden come nuovo presidente americano (altra coincidenza?), Navalny torna in Russia dove viene prontamente arrestato per aver violato i termini della sua cauzione. Sapeva benissimo che ciò sarebbe accaduto e che ciò avrebbe scatenato le isterie dei media occidentali (cosa che é puntualmente successa). Isterie dovute alla sua condanna a 30 giorni di carcere. Sì, avete letto bene: trenta GIORNI, non anni. Uscirà prima della primavera ed anche se fosse condannato per le numerose accuse di appropriazione indebita e frode, rischia più o meno tre anni di carcere (tanto per avere un paragone Nelson Mandela, quello vero, fu imprigionato per 27 anni). 

All’interno della Russia, le reazioni alle accuse contro Navalny variano con le opinioni politiche dei commentatori: coloro che sostengono Navalny e le sue attività generalmente dichiarano che non é colpevole, mentre i suoi oppositori politici in genere affermano il contrario. Non sta certo a me giudicare ed ammetto candidamente la mia ignoranza al riguardo. 

DOMANDE SCOMODE

Rimane il dubbio: ma Alexey Navalny é un’eroico difensore del popolo russo perseguitato da Putin o un burattino nelle mani della propaganda occidentale anti-russa? Lascerò a voi, cari lettori, il compito di decidere usando la vostra testa e la vostra sensibilità. Come sempre vi invito a fare le vostre ricerche e, se vorrete, condividere con me le vostre scoperte. 

Per quando mi riguarda ho una serie di domande che mi frullano in testa e per finire vorrei condividerle con voi: 

  • Com’è possibile che tutto l’apparato politico e mediatico occidentale, che tuona contro Trump perché razzista e nazionalista, dia completo e totale sostegno ad un razzista e nazionalista russo?
  • Chi é che davvero trae enormi benefici da questa storia?
  • Ma davvero il presidente russo Vladimir Putin tenterebbe di assassinare una figura dell’opposizione che detiene un minuscolo sostegno del 2% tra la popolazione?
  • Se cosi fosse perché usare il Novichok un gas nervino già ampiamente e pubblicamente associato alla Russia? Cosa c’è che non va con il vecchio proiettile in testa e la conseguente sepoltura da qualche parte nella steppa siberiana? 
  • Ma è mai possibile che il Novichok, un mortale veleno militare non uccida mai nessuno? Il vecchio KGB, ora FSB, è davvero diventato un covo di dilettanti incapaci di uccidere qualcuno?
  • Se lo stato russo, o Putin, ha avvelenato Navalny, perché l’aereo sul quale si è sentito male ha effettuano un atterraggio di emergenza e Navalny è stato portato direttamente in un ospedale per ricevere cure mediche?
  • Perché nessuna traccia di sostanze insolite è stata trovata dai due laboratori russi che hanno analizzato il sangue di Alexei Navalny quando era ricoverato ad Omsk?
  • Se Navalny è stato esposto ad una sostanza altamente infettiva come il Novichok, perché nessun altro intorno a lui ne ha sofferto o mostrato segni alcuni di avvelenamento?
  • Se lo stato russo, o Putin, ha avvelenato Navalny, perché gli è stato permesso di uscire dal paese e ricevere cure all’estero? Oltretutto sapendo che prima o poi il Novichok all’interno del suo corpo sarebbe stato rilevato.
  • Perché il governo tedesco non ha mai fornito alcuna prove, ne a Mosca ne al pubblico, dell’avvelenamento?
  • Ma sopratutto, e questa è la domanda più importante, Navalny è stato testato per il Covid-19?

Poco tempo dopo aver pubblicato l’articolo qui sopra un mio vecchio amico Oleg Konovalov, un cittadino russo che vive a Mosca, mi ha scritto per “sottolineare alcune cose” come dice lui. Tenete presente che non sono necessariamente d’accordo con tutto ciò che scrive ma gli sono estremamente grato per il suo meraviglioso approfondimento e ho deciso, con il suo permesso, di aggiungere il suo messaggio all’articolo. Eccolo:

Ciao Luca! Come stai? Spero vada tutto bene! Ho appena letto l’articolo che hai pubblicato su Alexey Navalny. Vorrei sottolineare alcune cose. Per chiunque in Russia pensare che il partito comunista sia una vera opposizione è semplicemente ingenuo. Ci sono 4 partiti in parlamento ed il partito comunista è uno di loro. E nessuno di loro è in realtà un partito di opposizione. Si chiamano “opposizione sistemica” e sono gli stessi pupazzi del Cremlino come Russia Unita. La Duma non è un vero parlamento. È diventato uno degli strumenti del Cremlino e non un’istituzione statale indipendente. Un’altra cosa, probabilmente hai scritto l’articolo prima delle udienze del tribunale di ieri, poiché ora Navalny ha ottenuto una vera pena detentiva per 2 anni e 8 mesi. E ora alle domande importanti: come sta facendo (Navalny) tutte le sue indagini sui fatti di corruzione e come è riuscito a non ottenere una vera condanna al carcere prima d’ora? È l’unica persona in Russia ad aver ricevuto un termine condizionale per 2 accuse penali. Una seconda accusa penale non riceve mai un termine condizionale. Ho la mia versione del motivo per cui ciò è successo. Ci sono diversi gruppi di interesse nella massima potenza in Russia. Anche Putin e Medvedev sono gruppi diversi e nonostante fossero un tandem, quando Medvedev era presidente, a un certo punto era in grande conflitto con Putin e desiderava il suo secondo mandato di presidenza. Questi diversi gruppi hanno utilizzato Navalny come meccanismo nella loro lotta politica. Stavano facendo trapelare materiali compromettenti a Navalny e aiutandolo a guardare nella giusta direzione per trovare i dettagli che stava rivelando nelle sue indagini. Avevano bisogno di una sorta di garanzia per impedirgli di essere troppo attivo, quindi la prima condanna condizionale. La seconda condanna è basata su accuse che potrebbero essere reali, ma l’intero processo è stato organizzato in modo improprio, senza seguire le normali procedure, e ci sono grandi dubbi su quanto sia reale l’intera situazione. Ma i ragazzi al potere avevano anche paura di lui perché non sanno esattamente quali informazioni avesse su di loro e cosa potrebbe trapelare nei media in caso di sua effettiva prigionia. E questo gli ha dato una sorta di conforto. In realtà mi aspetto più rivelazioni dalla sua squadra, ora che è stato condannato ad una pena reale. E per rispondere alla domanda che hai posto nel tuo articolo: è un eroe o un burattino? Penso che la risposta sia che non è nessuno dei due. Ci sono troppe forze che pensavano di poterlo usare come un burattino e lui è stato al gioco. Ha ottenuto il supporto di cui aveva bisogno dall’estero. Ha molto più sostegno in Russia di quanto si possa pensare. I sondaggi ufficiali sono molto fuorvianti. Le persone hanno paura di ammettere che lo sostengono. E ce ne sono molti che non lo supportano pienamente, ma nella situazione che abbiamo senza altre persone all’opposizione, quando potessimo scegliere tra lui e il potere attuale sarebbe il minore dei due mali. Quindi ha supporto sia fuori che dentro il paese. E tutto ciò che ha fatto, lo stava facendo sulla base dei suoi interessi politici ed economici personali. È un personaggio molto egocentrico ed egoista che sta sfruttando la situazione. Essere un burattino non è qualcosa di cui è felice, ed essere un eroe non è nella sua agenda. E ancora una cosa: il legame tra lui e Alexander Lebedev come ex funzionario del KGB in realtà non mostra nulla. Gli ex funzionari del KGB sono finiti in tutti gli ambiti della vita. Lebedev in realtà ha ambizioni politiche ed è contrario all’élite attuale, ma per lui Navalny sarebbe più un concorrente che un’alleato. E questo è il problema dell’opposizione in Russia. Non possono unirsi. Tutti vogliono essere i leader. Questo è ciò che ha ucciso Yabloko come forza politica, ed è qui che Navalny ha iniziato la sua carriera politica. Per quanto riguarda l’essere una vera minaccia politica per Putin, Navalny non è neanche lontanamente vicino a quel livello, almeno per ora. Ma può essere usato come strumento dai rivali di Putin, ed è questa la vera minaccia. Chi lo userebbe esattamente non é sicuro – possono esserci persone diverse. Ma se Navalny lascia che lo usino, cercherà sicuramente di ricavarne qualcosa di sostanziale per se stesso. So di essere stato un po ‘frenetico e confuso, ma spero che questo ti dia un’idea da una fonte imparziale in Russia che ti aiuterà a capire meglio la situazione.