A non-blog by Luca Ammendola

Categoria: Politica

GLOBALIZZAZIONE ED IDENTITÀ

Dal Film “Il Nuovo Mondo” di Terrence Malick

Il capitalismo globalista neoliberale é animato da due tendenze diametralmente opposte nella prassi eppure assolutamente convergenti nello scopo. Queste propensioni sono di tipo sia politico che economico. La prima é una tendenza separativa mentre la seconda é una propensione all’omologazione. La tendenza separativa del capitalismo neoliberista é una manovra politica il cui scopo é il tentativo di praticare il famoso adagio romano “divide et impera” mentre la propensione all’omologazione culturale delle masse é una condizione sine qua non di unificazione del mercato, dei consumatori e dei prodotti. Queste due aspirazioni, malgrado la loro apparente divergenza, altro non sono che le due principali metodologie rivolte al mantenimento, rafforzamento e sviluppo del sistema. 

TENDENZA SEPARATIVA

Il sistema economico/politico capitalista, come Marx ha spiegato molto meglio di me, è naturalmente, strutturalmente, divisivo. Esso infatti tende a creare, rinforzare e favorire la divisione societaria in classi di “vincitori e perdenti”, sfruttati e sfruttatori. La deriva globalista e neoliberale del capitalismo odierno ha, non solo evidenziato questa tendenza innata del sistema, ma l’ha accentuata. Ai giorni nostri la spropositata differenza tra ricchi e poveri è cresciuta a dismisura e tende ad accelerare. A titolo di esempio, riporto il seguente dato: durante l’anno 2018 un lavoratore medio di Amazon ha guadagnato 30.000 dollari; più o meno lo stesso ammontare che Jeff Bezos, CEO della compagnia, guadagnava ogni 10 secondi

Sebbene il capitalismo globalista neoliberale abbia come unico scopo il maggior profitto per il minor numero di persone possibile, questa discrepanza tra il potere economico dei “padroni del vapore” e la stragrande maggioranza del popolo è diventata un grave problema. Ovviamente è un problema per il popolo lavoratore, che vede il frutto del suo lavoro travasato e concentrato nelle mani di un’élite transnazionale, ma è diventata un problema anche per l’élite stessa che, responsabile dell’ingiustizia sociale (o furto legalizzato) in atto, corre il rischio di farsi travolgere da un sempre più supponibile “risveglio delle coscienze”. 

Una delle strategie adottate dai “padroni del mondo” per rispondere a questo problema, e sovvertire ed incanalare la crescente rabbia del popolo, è quella, come menzionato prima, dell’utilizzo del vecchio stratagemma romano del “dividi e comanda”. Il pericolo più grande per lo status quo, infatti, è un condensamento partitico del popolo. Una massiccia organizzazione di intenti ed un coordinamento politico di essi segnerebbe la fine dell’attuale sistema nel giro di poco tempo. È quindi di fondamentale importanza, dal punto di vista delle elite, di assicurare che ciò non avvenga. Ogni forma di accomunamento di obiettivi, di aggregazione comunitaria e di compattezza legislativa deve essere (e di fatto lo è) bloccata, ostracizzata e scoraggiata

Il sistema capitalistico, infatti, ha come primo nemico il patto sociale inteso come difesa degli interessi dei molti e come tentativo coesivo della confraternita umana. L’apparato economico e politico dominante desidera quindi individui svuotati di ogni appartenenza collettiva e perciò individui politicamente solitari ed incapaci di rifiutare tutto quello che il capitale vorrà imporgli. 

Questa tendenza politicamente separativa risulta evidente in molti aspetti della vita sociale e lavorativa attuale. Dal depotenziamento sistematico dei sindacati, al depauperamento del lavoro comunitario in favore, per esempio, del telelavoro o della gig economy, che sfrutta il lavoratore nella sua condizione di atomo separato dalla comunità lavorativa (e per di più privo di qualsiasi forma di diritto), sono molti gli esempi che si potrebbero fare di tale corrente. Ma nessun esempio è più evidente ed oppressivo del perpetuo sforzo separativo identitario (individuale ed individualista). 

Tale sforzo – culturale, mediatico e propagandistico – si pone come obbiettivo di separare la massa, il popolo, che se unito rappresenterebbe un potenziale rivoluzionario, in piccoli nuclei rinchiusi su se stessi, non comunicanti, antagonisti e quindi in constante lotta tra loro. Questa viene spesso giustamente definita come “lotta tra poveri”

Il popolo viene quindi incitato dal potere, principalmente tramite la propaganda, a formare fazioni in contrasto tra loro. Queste fazioni, o dicotomie non dialoganti, vengono continuamente ed in alternanza fomentate dalla classe dirigente tramite la leva dell’identità individuale, particolare ed esclusiva. Vediamo quindi salire sul ring del conflitto sociale bianchi contro neri, nativi contro migranti, uomini contro donne, Cristiani contro Mussulmani, eterosessuali contro omosessuali, sì-vax contro no-vax e via discorrendo. Questi conflitti, seppure spontaneamente esistenti, vengono amplificati di continuo sia dalla grancassa mediatica sia dal sistema stesso che, producendo masse di diseredati costretti a competere tra loro, crea i presupposti del conflitto. Lo scopo di tale operazione è quello di spingere il popolo diviso a combattere contro se stesso in maniera orizzontale ed a distrarlo dalla vera fonte del suo malcontento (il sistema capitalistico elitario) che richiederebbe invece una lotta verticale contro i guardiani della condizione sociale stabilita. 

In altre parole l’attitudine separativa del sistema capitalistico altro non è che un’arma di distrazione di massa sguainata in difesa della conservazione acritica e statica del sistema stesso. Il cittadino viene portato a credere che la colpa della sua condizione sia, per esempio, del migrante e che se dovesse sparire esso questo cambierebbe la sua situazione sociale ed economica. Al contempo si spinge il migrante a credere che non è ben voluto dalla popolazione nativa a causa del colore della sua pelle e non perché, probabilmente senza saperlo, è arrivato in un paese il cui tessuto sociale ed economico è allo stremo e la sua presenza è quindi vista come di troppo. Queste narrative contrapposte e specificamente mirate, permettono al sistema ed ai suoi difensori di trasformare due potenziali alleati in acerrimi nemici. 

Questo è un vecchio trucco ma è molto efficiente.  Un po come dei mestieranti borsaioli, i difensori del potere costituito distraggono il cittadino attirando la sua attenzione con la mano sinistra e rubandogli il portafogli con la destra. 

TENDENZA OMOLOGANTE

La seconda propensione del capitalismo globalista è diametralmente opposta a quella appena descritta. Il sistema economico globalista, infatti, si forma su quella che il filosofo Diego Fusaro chiama “l’inclusione neutralizzante” e cioè una necessaria, dal punto di vista del sistema, neutralizzazione delle specificità culturali regionali. Ciò ha una funzione prettamente economica. 

L’incarico economico di tale tendenza è quello di standardizzare il modello di produzione ed il modo di consumo delle merci. Per sintetizzare tale compito possiamo citare la famosa esclamazione di Henry Ford che, parlando della scelta che i suoi clienti avevano sul colore delle sue automobili, disse: “Possono scegliere il colore che vogliono. Purché sia nera!”. Ecco, il capitalismo globale, similmente, esclama: “Potete scegliere il prodotto che preferite. A patto che sia il nostro!

Lo scopo del capitalismo globalizzato è quello di vendere il maggior numero di prodotti al maggior numero di consumatori possibili. Per conseguire nel suo intento il sistema necessita di consumatori neutri, indistinti, narcisisti ed anzitutto omologati. Ciò permette al mercante di espandere esponenzialmente il mercato e quindi il numero di consumatori raggiungibili dallo stesso prodotto. In altre parole, per raggiungere il massimo ricavo possibile, il sistema capitalista globalizzato desidera che tutto sia medesimo. Medesimo deve essere il prodotto cosi come medesimo deve essere il consumatore. 

La tendenza omologante del mercato è particolarmente visibile nel campo vestiario. Le nuove frontiere della moda si spingono sempre di più verso una proposta assottigliata di differenze. Basti pensare ai capi unisex o al prêt-à-porter omogeneo sia che sia venduto in Italia sia che sia venduto in Cina. L’esempio forse più lampante di tale omologazione lo troviamo nelle famose pubblicità “United Colors” del marchio Benetton dove bambini di tutte le razze, e quindi rappresentanti di diverse culture, posano insieme vestiti tutti nello stesso modo. Insomma “United Colors” sì, ma sotto il segno del verde dollaro. 

Il più grande ostacolo a questo relativismo consumistico rimane quindi l’identità regionale e culturale sotto l’auge della specifica tradizione popolare. Tale tradizione, derivante dalla particolare storia di un dato popolo, riflette la sua peculiarità e quindi, di conseguenza, la sua identità. Tale tipicità regionale é ciò che il capitalismo globale rifiuta e tenta di distruggere e livellare con ogni mezzo, sia esso propagandistico, culturale, politico o economico. Non deve quindi stupire che le due visioni politiche prevalenti si biforchino tra sovranismo e globalismo e che quelle economiche tra produzione e consumo globalizzato e produzione e consumo a chilometro zero

Insomma la “open society” capitalista e globalista altro non vuole che una società svuotata dei suoi valori culturali specifici, una società che quindi, priva di tradizione, sia plasmabile a piacimento dal mercato e nella quale poter inserire prodotti fabbricati in massa e consumati dalla moltitudine. Tale sistema economico brama a neutralizzare ogni aspirazione comunitaria che non sia quella dello scambio commerciale, e cioè il mercato. Lo Stato, organo fondamentale per l’espressione democratica della polis, viene quindi estorto della sua funzione congenita ed obbligato a governare PER il mercato invece di governare IL mercato

Va brevemente ricordato che tutte le dittature tendono all’omologazione perché ciò distrugge l’individualità e di conseguenza depotenzia l’attitudine e l’abitudine al dissenso. L’esempio concreto è l’uniforme imposta dal dittatore; la quale da una parte accomuna chi l’indossa e dall’altra uccide ogni forma di originalità. La peculiarità della dittatura finanziaria odierna è che contemporaneamente promuove l’uniformità dei gusti ed incoraggia una finta scelta (il “Purché sia nera!” fordiano che aggiornato diventa “Purché siano jeans!”). Per riassumere si potrebbe dire che senza radici culturali il cittadino perde la sua identità regionale specifica, senza identità egli perde il senso di appartenenza ad una comunità e senza consapevolezza comunitaria perde la sua capacità di resistere. Il che è esattamente ciò che il sistema vuole. 

Seguendo questo pensiero una domanda sorge spontanea: se lo scopo del sistema è quello di omologare le eterogenee culture, a quale cultura dominante devono esse adeguarsi? Quale é l’archetipo originale da clonare? La risposta è ovvia e scontata. Il modello culturale cannibale ed oppressore è quello dell’ “American way of life”. Un modello Nord americano basato sul consumo sfrenato e di bassa qualità, sull’individualismo estremo, sulla competizione selvaggia e promotore di una cultura infantile ed infantilizzante. Insomma il modello “fast-food and quick money” (cibo veloce e soldi rapidi). 

IDENTITA E FRONTIERE

La più grande fallacia del pensiero moderno consiste nel confondere il giusto e necessario anelito di eguaglianza con l’erronea e distruttiva pretesa d’identicità. Mentre l’eguaglianza è una sacrosanta rivendicazione politica edificata sulla giustizia, sia sociale che economica, l’identicità é un tentativo prepotente e tirannico di livellamento del diverso. Tale livellamento presume, come abbiamo visto in precedenza, un’accostamento collettivo ad un modello base (nel nostro caso quello Nord Americano) dal quale clonare le molteplice manifestazioni dell’essere. Come un virus, l’identicità si impadronisce dell’altro per renderlo medesimo, distruggendo cosi l’identità individuale e collettiva dei popoli. 

L’identità, infatti, può esistere solo nella differenza. L’uno è uno perché non è l’altro. Io sono io perché non sono te. È precisamente nella mediazione delle differenze che l’individuo comprende, nutre ed arricchisce la propria specificità. Il dialogo, aperto e rispettoso, quindi, diventa un mezzo necessario per far si che due realtà distinte possano comunicare. Senza differenza il dialogo diventa un monologo ripetitivo ed avvilente, assassino della fantasia, dell’educazione e della relazione. Al contrario il vero dialogo costringe le parti al tentativo di comprensione dell’altro senza perciò abbandonare la propria prospettiva. Cosi facendo il vero dialogo arricchisce ed abbellisce la propria identità e quella dell’altro tramite il confronto.

Tale peculiarità dell’esperienza umana è maggiormente percepibile nell’atto di viaggiare. Durante il viaggio il cittadino entra in contatto con una realtà sociale e culturale diversa dalla sua. Da essa, in primo luogo, osserva ed impara visioni, riti e approcci diversi all’avventura umana ed in secondo luogo li confronta con i propri. L’esplorazione del diverso accresce la sua saggezza ed il confronto con essa accresce la propria consapevolezza identitaria. Chiunque viaggi, una volta ritornato a casa, porta con se non solo nuove conoscenze ed il profumo di mondi lontani, ma anche una nuova sensibilità nell’osservare i propri giardini. 

È un’evidenza troppo spesso dimenticata che ogni cultura, per quanto diversa, altro non è che una manifestazione della razza umana. L’umanità, in sé unitaria, si distingue nella sua pluralità, complessità e varietà. L’identità culturale regionale, infatti, altro non è che un’identità narrativa derivante da specifiche storie, tradizioni e memorie.

Cosi come tra due esseri umani, a livello micro, l’io identitario nasce dalla distinzione dall’altro, a livello macro la cultura nazionale si distingue geograficamente attraverso il confine. Il confine nazionale, la frontiera, altro non è che delineamento dei limiti di una realtà al di là dei quali esiste l’altro. Tale limite definisce l’identità storica, culturale e tradizionale di un popolo ma anche, e forse sopratutto, ne determina la sovranità, e cioè la possibilità di governare il proprio destino

In tempi di guerra antichi l’aggressore vittorioso, come prima mossa, abbatteva le mura della città conquistata. L’abbattimento delle mura era una conquista per l’aggressore ma una perdita per l’aggredito. Durante la guerra del Peloponneso quando Sparta conquista Atene sul campo di battaglia ordina, secondo i patti di resa stipulati, di abbattere le sue mura. Ciò non avviene per unire Sparta ed Atene in fratellanza bensì per lasciare Atene nuda, per così dire, indifesa, vulnerabile al comando di Sparta. Non dovrebbe quindi stupire che Atene non avrebbe mai più recuperato la sua antica prosperità e che il crollo delle sue mura sigli la fine del secolo d’oro della civiltà ellenica. L’abbattimento del confine è sempre un’atto di colonizzazione da parte dell’esercito o del pensiero o del sistema economico dominante il quale, come abbiamo visto ripetutamente, desidera imporre la propria supervisione e di conseguenza dominare l’altro. Se ne deduce che il famoso discorso di Pericle agli Ateniesi “Qui ad Atene noi facciamo così”, nel quale il famoso politico descrive le caratteristiche della democrazia ateniese, una volta cadute le mura della città, non sussiste. Senza le mura che delineano Atene non esiste più un “qui” ne un “noi”. E senza di essi è impossibile definire il “facciamo cosi” distinto da un’altro fare. 

Per tornare ai nostri tempi, è chiaro che i principi di nazione, sovranità, tradizione ed identità culturale sono sotto attacco da un sistema economico antropofago che intende distruggere il diverso per imporre il suo medesimo. In questo contesto pare ovvio che l’attuale demonizzazione delle frontiere nazionali non è altro che un trucco del capitalismo il quale desidera colonizzare le menti ed i corpi del mondo in nome del profitto. Le campagne politiche e mediatiche concepite per esecrare il principio stesso di nazione come principio intrinsecamente razzista, guerrafondaio e isolazionista servono al capitale transnazionale per distruggere ed abolire tutti i sistemi di difesa giuridici, politici ed economici a disposizione dei vari popoli. La società “no border” globalista e capitalista desidera veder trionfare il medesimo su scala globale: una lingua, un pensiero, una legge, un solo modo di produrre e consumare… insomma un’unico modo di vivere dettato e controllato da un’élite sempre più ristretta. 

Possiamo quindi concludere che esistono due tipi di universalismo: il primo percepisce come unico modo di unione il livellamento e l’indistinzióne delle parti il secondo, al contrario, celebra e difende le differenze come unico atteggiamento sano e fraterno di stare al mondo. 

NEOCOLONIALISMO

In un’episodio del capolavoro di Fëdor Dostoevskij “I fratelli Karamazov” una nobildonna tanto pia quanto ricca rende visita allo starec (mistico cristiano) Zosima nel suo monastero. Mossa da una profonda crisi di coscienza gli confessa che: “Io amo l’umanità, ma con mia grande sorpresa, quanto più amo l’umanità in generale, tanto meno mi ispirano le persone in particolare.” L’episodio descritto dal maestro russo descrive perfettamente il dilemma nel quale le società odierne si trovano.

Spinti da un’onesto desiderio di convivenza pacifica e fraterna, i popoli, guidati dalla propaganda globalista, credono che le frontiere siano il problema dimenticando che la vera uguaglianza e la vera fratellanza non è l’eliminazione delle differenze bensì è sviluppo di esse nel rispetto della loro identità specifica e dunque della loro alterità. La vera uguaglianza, insomma, è l’antitesi dell’omologazione. O come esclama uno dei personaggi dell’Idiota, sempre di Dostoevskij: “Nell’amore astratto per l’umanità quasi sempre si finisce per amare solo se stessi.”

Ed è per questo strano gioco dell’animo umano che la “no border open society” altro non è che la forma più becera di nazionalismo. Il vero nazionalismo, infatti, è la riduzione delle differenze culturali ad uno; il desiderio, appunto, d’imporre una visione (la “American way of life”) su tutte le altre e di omologare tutte le espressioni umane. Questo si chiama colonialismo.

Vi lascio con degli estratti del “Discorso agli ateniesi” di Pericle, pronunciato ormai 2500 anni fa. 

La nostra forma di governo non entra in rivalità con le istituzioni degli altri. Il nostro governo non copia quello dei nostri vicini, ma è un esempio per loro. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così

ALEXEY NAVALNY: EROE O BURATTINO?

Dal Film “Biancaneve e i sette nani” di William Cottrell

Nota al lettore: questo articolo non vuole assolutamente sostenere che Vladimir Putin sia un Santo Patrono della democrazia, che non ci sia nessun tipo di corruzione all’interno dei suo governo o che l’omicidio (o il tentato omicidio) politico sia inconcepibile (ma chi é senza peccato scagli la prima pietra). L’intento è semplicemente di dare uno sguardo più attento al personaggio di Alexey Navalny.

Chi è Alexey Navalny? Sul suo profilo Wikipedia apprendiamo che è nato nel 1976 a Obninsk a circa 100 chilometri a sud-ovest di Mosca ed è di discendenza ucraina. Viene descritto, sempre da Wikipedia, come “un leader dell’opposizione russa, politico, avvocato e attivista anti-corruzione.” Navalny è arrivato alla ribalta internazionale organizzando manifestazioni contro la corruzione del presidente Vladimir Putin e del suo governo. 

Come possiamo leggere sul suo profilo ufficiale è stato formato all’università statunitense di Yale quale membro del “Greenberg World Fellows Program”, un programma creato nel 2002 per il quale vengono selezionati ogni anno su scala mondiale appena 16 persone con caratteristiche tali da farne dei “leader globali”. Essi fanno parte di una rete di “leader impegnati globalmente per rendere il mondo un posto migliore”, composta attualmente da 291 membri di 87 paesi, l’uno in contatto con l’altro e tutti collegati al centro statunitense di Yale.

Nel 2000 Navalny si è unito al Partito Democratico Unificato russo Yabloko, un piccolo partito all’interno del panorama politico russo (Per intendersi alle ultime presidenziali Yabloko ha ottenuto l’1.05% delle preferenze). Nell’aprile 2004, Navalny diventa capo dello staff della filiale di Mosca ma nel 2007 ma viene espulso per le sue opinioni nazionaliste

Nel 2005 co-fonda il movimento «Alternativa democratica», uno dei beneficiari della National Endowment for Democracy (Ned), potente «fondazione privata non-profit» statunitense che con fondi forniti anche dal Congresso finanzia, apertamente o sottobanco, migliaia di organizzazioni non-governative in oltre 90 paesi per «far avanzare la democrazia». È un segreto di Pulcinella che la Ned è una delle succursali della CIA per le operazioni sotto copertura, la quale è stata, ed è tuttora, particolarmente attiva in Ucraina. Nel paese dei suoi avi Navalny ha sostenuto la Rivoluzione di Maidan che, a sua detta: “ha abbattuto un governo corrotto che impediva la democrazia». Poco importa che, con il putsch di Piazza Maidan, sia stato insediato a Kiev un governo ancora più corrotto, il cui carattere democratico è rappresentato dai neonazisti che vi occupano posizioni chiave (ed il mio non é un’eufemismo, sono letteralmente dei neonazisti che promuovono apertamente idee come “la supremazia della razza bianca” ed “il potere bianco”).

Un’altro aspetto interessante che vi invito a considerare è il fatto che la moglie di Navalny è la figlia di un potente ex operatore del KGB e banchiere responsabile di proprietà russe a Londra, Boris Abrosimov. Abrosimov è un collega del più noto ex colonnello del KGB e oligarca russo Alexander Lebedev, proprietario ed editore di alcuni giornali britannici, il cui figlio è recentemente diventato Pari d’Inghilterra (un titolo nobiliare). Tutto questo sembrerebbe indicare che Navalny è profondamente legato ai luoghi oscuri in cui i servizi segreti russi e occidentali, ed i loro banchieri, forgiano legami confidenziali.

Comunque sia nel 2007 Navalny crea un secondo movimento politico chiamato “Il Popolo” il quale presenta un programma palesemente xenofobo, nazionalista, identitario ed anti immigrazione. Nello stesso periodo registra video blog in cui paragona le persone del Caucaso del Sud a carie dentali ed i migranti a scarafaggi che andrebbero schiacciati. In uno di questi video Navalny interpreta la parte di un conduttore di televendite, spiegando i vari rimedi disponibili per scacciare insetti e scarafaggi. Sul finire del video però questi animali si trasformano all’improvviso in estremisti religiosi di chiara fede islamica, che Navalny consiglia di scacciare con l’uso di una pistola.

Ecco il link del video: https://youtu.be/oVNJiO10SWw  

Nel 2013 si candida come sindaco di Mosca, arrivando secondo dopo l’incombente Sergey Sobyanin. Raccoglie il 21.9% dei voti contro il 60.1% del suo avversario

Nel 2018 decide di entrare nella corsa presidenziale. Tuttavia non gli è stato permesso di candidarsi a causa di due condanne condizionali per frode (anche se dobbiamo considerare che stava tra l’1% ed il 4% nei sondaggi di opinione prima che fosse dichiarato inammissibile per l’elezione).

Le posizione ed idee politiche di Navalny, come abbiamo visto, sono di estrema destra, anti immigrazione ed anti omosessuali. Le sue opinioni economiche, invece, favoriscono la privatizzazione ed il libero mercato, ed è sostenuto da molti capitalisti post-sovietici, dall’oligarca Mikhail Khodorkovsky all’ex capo della Banca centrale russa, Sergei Aleksashenko. 

È importante sottolineare che la sua popolarità è alta solo nelle grandi città e la situazione nelle regioni è drasticamente diversa. Mentre per alcune persone rimane semplicemente un personaggio ignoto, e molti rimangono neutrali, le persone in generale sono più diffidenti nei suoi confronti di quanto non siano diffidenti nei confronti del governo russo o di Putin personalmente. La sua popolarità è cresciuta un po ‘sulla scia del presunto avvelenamento (di cui scriverò a breve) ma rimane una figura di poco rilievo politico. Nell’ultimo sondaggio sul numero di persone che si fidano di figure politiche significative nel panorama politico russo, fatto nell’agosto 2020, Navalny si é piazzato al terzo posto con il 2% (dopo il 40% di Vladimir Putin e il 4% di Vladimir Zhirinovsky).  Infatti, dando un’occhiata ai risultati elettorali ed a tutti i sondaggi disponibili é chiaro che l’opposizione più significativa al presidente Vladimir Putin non è Navalny. Il vero partito di opposizione é il CPRF (Il Partito Comunista della Federazione Russa) il quale detiene una consistente presenza alla Duma. 

Eppure il Wall Street Journal descrive Navalny come “l’uomo che Vladimir Putin teme di più”

EROICA ICONA DELL’OCCIDENTE

È interessante notare che il giornale “La Stampa”, nel 2012, parlava di Navalny come “blogger xenofobo” definendo “galassia destrorsa” e “ultranazionalista” l’area politica entro cui militava e milita tutt’ora. Eppure otto anni dopo lo stesso giornale descrive Navalny come “il Nelson Mandela russo” (addirittura!!). Cos’è cambiato in questi otto anni? Ebbene Navalny é stato avvelenato da Putin in un malefico tentativo di far fuori il suo “più pericoloso rivale”. Almeno questa é la storia ufficiale come viene raccontata dalla CNN, la BBC, e tutti quei valorosi fari della verità comunemente conosciuti come informazione di massa. Ovviamente i fari della verità dimenticano di precisare che il “più pericoloso rivale” di Putin é un’uomo che non ha mai ricoperto alcuna carica, il suo partito politico non ha un solo parlamentare alla Duma, e detiene circa il 2% di sostegno del popolo russo. Ma tralasciamo questi piccoli dettagli e veniamo ai fatti. 

Il 20 Agosto del 2020 Navalny si ammala gravemente mentre è a metà volo da Tomsk, in Siberia, e Mosca. L’aereo viene bruscamente dirottato per effettuare un atterraggio di emergenza nella città siberiana di Omsk, dove Navalny è immediatamente ricoverato in ospedale per sospetto avvelenamento e posto in coma farmacologico. 

Due giorni dopo, Navalny viene trasportato in aereo in Germania in un’evacuazione organizzata da una ONG per i “diritti umani” con sede a Berlino. Il suo trasporto, su un “aereo/ambulanza” con a bordo specialisti tedeschi, viene autorizzato dalle autorità russe.

Mentre i medici russi a Omsk (che hanno probabilmente salvato la vita di Navalny) sostengono di non aver trovato alcuna prova di sostanze di armi chimiche nel suo sistema, il governo tedesco dopo un rapido esame annuncia che il loro laboratorio militare ha scoperto “prove inequivocabili” che Navalny è stato avvelenato da un’agente nervino risalente nell’era della guerra fredda, il Novichok. Il governo tedesco chiede spiegazioni al Cremlino senza però fornire nessuna di queste prove ne a Mosca ne al pubblico

Nonostante fosse la presunta vittima di un agente nervino militare estremamente letale, considerato peggio del sarin o del gas VX, tre settimane dopo Navalny esce dal coma giurando, con aria di sfida, un ritorno in Russia. 

Per pura coincidenza tutto questo succede proprio mentre il Nord Stream 2, la seconda linea dell’enorme gasdotto in costruzione dalla Russia alla Germania a cui si oppongono gli Stati Uniti e diversi alleati della NATO, è quasi completata. Improvvisamente, lo scontro diplomatico tra Germania e Russia ferma il controverso progetto. La cancelliera Angela Merkel ed il governo tedesco, sotto pressione da Washington, considerano se ritirarsi dal progetto che aumenterebbe l’influenza russa sulle infrastrutture energetiche europee e competerebbe con le esportazioni più costose degli Stati Uniti. Ma non pensateci troppo, sono solo teorie cospirazioniste

Comunque sia, tre giorni prima dell’inaugurazione di Joe Biden come nuovo presidente americano (altra coincidenza?), Navalny torna in Russia dove viene prontamente arrestato per aver violato i termini della sua cauzione. Sapeva benissimo che ciò sarebbe accaduto e che ciò avrebbe scatenato le isterie dei media occidentali (cosa che é puntualmente successa). Isterie dovute alla sua condanna a 30 giorni di carcere. Sì, avete letto bene: trenta GIORNI, non anni. Uscirà prima della primavera ed anche se fosse condannato per le numerose accuse di appropriazione indebita e frode, rischia più o meno tre anni di carcere (tanto per avere un paragone Nelson Mandela, quello vero, fu imprigionato per 27 anni). 

All’interno della Russia, le reazioni alle accuse contro Navalny variano con le opinioni politiche dei commentatori: coloro che sostengono Navalny e le sue attività generalmente dichiarano che non é colpevole, mentre i suoi oppositori politici in genere affermano il contrario. Non sta certo a me giudicare ed ammetto candidamente la mia ignoranza al riguardo. 

DOMANDE SCOMODE

Rimane il dubbio: ma Alexey Navalny é un’eroico difensore del popolo russo perseguitato da Putin o un burattino nelle mani della propaganda occidentale anti-russa? Lascerò a voi, cari lettori, il compito di decidere usando la vostra testa e la vostra sensibilità. Come sempre vi invito a fare le vostre ricerche e, se vorrete, condividere con me le vostre scoperte. 

Per quando mi riguarda ho una serie di domande che mi frullano in testa e per finire vorrei condividerle con voi: 

  • Com’è possibile che tutto l’apparato politico e mediatico occidentale, che tuona contro Trump perché razzista e nazionalista, dia completo e totale sostegno ad un razzista e nazionalista russo?
  • Chi é che davvero trae enormi benefici da questa storia?
  • Ma davvero il presidente russo Vladimir Putin tenterebbe di assassinare una figura dell’opposizione che detiene un minuscolo sostegno del 2% tra la popolazione?
  • Se cosi fosse perché usare il Novichok un gas nervino già ampiamente e pubblicamente associato alla Russia? Cosa c’è che non va con il vecchio proiettile in testa e la conseguente sepoltura da qualche parte nella steppa siberiana? 
  • Ma è mai possibile che il Novichok, un mortale veleno militare non uccida mai nessuno? Il vecchio KGB, ora FSB, è davvero diventato un covo di dilettanti incapaci di uccidere qualcuno?
  • Se lo stato russo, o Putin, ha avvelenato Navalny, perché l’aereo sul quale si è sentito male ha effettuano un atterraggio di emergenza e Navalny è stato portato direttamente in un ospedale per ricevere cure mediche?
  • Perché nessuna traccia di sostanze insolite è stata trovata dai due laboratori russi che hanno analizzato il sangue di Alexei Navalny quando era ricoverato ad Omsk?
  • Se Navalny è stato esposto ad una sostanza altamente infettiva come il Novichok, perché nessun altro intorno a lui ne ha sofferto o mostrato segni alcuni di avvelenamento?
  • Se lo stato russo, o Putin, ha avvelenato Navalny, perché gli è stato permesso di uscire dal paese e ricevere cure all’estero? Oltretutto sapendo che prima o poi il Novichok all’interno del suo corpo sarebbe stato rilevato.
  • Perché il governo tedesco non ha mai fornito alcuna prove, ne a Mosca ne al pubblico, dell’avvelenamento?
  • Ma sopratutto, e questa è la domanda più importante, Navalny è stato testato per il Covid-19?

Poco tempo dopo aver pubblicato l’articolo qui sopra un mio vecchio amico Oleg Konovalov, un cittadino russo che vive a Mosca, mi ha scritto per “sottolineare alcune cose” come dice lui. Tenete presente che non sono necessariamente d’accordo con tutto ciò che scrive ma gli sono estremamente grato per il suo meraviglioso approfondimento e ho deciso, con il suo permesso, di aggiungere il suo messaggio all’articolo. Eccolo:

Ciao Luca! Come stai? Spero vada tutto bene! Ho appena letto l’articolo che hai pubblicato su Alexey Navalny. Vorrei sottolineare alcune cose. Per chiunque in Russia pensare che il partito comunista sia una vera opposizione è semplicemente ingenuo. Ci sono 4 partiti in parlamento ed il partito comunista è uno di loro. E nessuno di loro è in realtà un partito di opposizione. Si chiamano “opposizione sistemica” e sono gli stessi pupazzi del Cremlino come Russia Unita. La Duma non è un vero parlamento. È diventato uno degli strumenti del Cremlino e non un’istituzione statale indipendente. Un’altra cosa, probabilmente hai scritto l’articolo prima delle udienze del tribunale di ieri, poiché ora Navalny ha ottenuto una vera pena detentiva per 2 anni e 8 mesi. E ora alle domande importanti: come sta facendo (Navalny) tutte le sue indagini sui fatti di corruzione e come è riuscito a non ottenere una vera condanna al carcere prima d’ora? È l’unica persona in Russia ad aver ricevuto un termine condizionale per 2 accuse penali. Una seconda accusa penale non riceve mai un termine condizionale. Ho la mia versione del motivo per cui ciò è successo. Ci sono diversi gruppi di interesse nella massima potenza in Russia. Anche Putin e Medvedev sono gruppi diversi e nonostante fossero un tandem, quando Medvedev era presidente, a un certo punto era in grande conflitto con Putin e desiderava il suo secondo mandato di presidenza. Questi diversi gruppi hanno utilizzato Navalny come meccanismo nella loro lotta politica. Stavano facendo trapelare materiali compromettenti a Navalny e aiutandolo a guardare nella giusta direzione per trovare i dettagli che stava rivelando nelle sue indagini. Avevano bisogno di una sorta di garanzia per impedirgli di essere troppo attivo, quindi la prima condanna condizionale. La seconda condanna è basata su accuse che potrebbero essere reali, ma l’intero processo è stato organizzato in modo improprio, senza seguire le normali procedure, e ci sono grandi dubbi su quanto sia reale l’intera situazione. Ma i ragazzi al potere avevano anche paura di lui perché non sanno esattamente quali informazioni avesse su di loro e cosa potrebbe trapelare nei media in caso di sua effettiva prigionia. E questo gli ha dato una sorta di conforto. In realtà mi aspetto più rivelazioni dalla sua squadra, ora che è stato condannato ad una pena reale. E per rispondere alla domanda che hai posto nel tuo articolo: è un eroe o un burattino? Penso che la risposta sia che non è nessuno dei due. Ci sono troppe forze che pensavano di poterlo usare come un burattino e lui è stato al gioco. Ha ottenuto il supporto di cui aveva bisogno dall’estero. Ha molto più sostegno in Russia di quanto si possa pensare. I sondaggi ufficiali sono molto fuorvianti. Le persone hanno paura di ammettere che lo sostengono. E ce ne sono molti che non lo supportano pienamente, ma nella situazione che abbiamo senza altre persone all’opposizione, quando potessimo scegliere tra lui e il potere attuale sarebbe il minore dei due mali. Quindi ha supporto sia fuori che dentro il paese. E tutto ciò che ha fatto, lo stava facendo sulla base dei suoi interessi politici ed economici personali. È un personaggio molto egocentrico ed egoista che sta sfruttando la situazione. Essere un burattino non è qualcosa di cui è felice, ed essere un eroe non è nella sua agenda. E ancora una cosa: il legame tra lui e Alexander Lebedev come ex funzionario del KGB in realtà non mostra nulla. Gli ex funzionari del KGB sono finiti in tutti gli ambiti della vita. Lebedev in realtà ha ambizioni politiche ed è contrario all’élite attuale, ma per lui Navalny sarebbe più un concorrente che un’alleato. E questo è il problema dell’opposizione in Russia. Non possono unirsi. Tutti vogliono essere i leader. Questo è ciò che ha ucciso Yabloko come forza politica, ed è qui che Navalny ha iniziato la sua carriera politica. Per quanto riguarda l’essere una vera minaccia politica per Putin, Navalny non è neanche lontanamente vicino a quel livello, almeno per ora. Ma può essere usato come strumento dai rivali di Putin, ed è questa la vera minaccia. Chi lo userebbe esattamente non é sicuro – possono esserci persone diverse. Ma se Navalny lascia che lo usino, cercherà sicuramente di ricavarne qualcosa di sostanziale per se stesso. So di essere stato un po ‘frenetico e confuso, ma spero che questo ti dia un’idea da una fonte imparziale in Russia che ti aiuterà a capire meglio la situazione.

LA SAGA DI JULIAN ASSANGE – TERZA PARTE

Dal Film “Papillon” di Franklin J. Schaffner

AUTOSTRADA PER L’INFERNO

Nel novembre del 2011, in seguito alla pubblicazione dei registri afghani e iracheni, il governo degli Stati Uniti, sotto la bandiera del Grand Jury di Alexandria, Virginia, inizia ad indagare su Assange e Wikileaks. Allo stesso tempo l’FBI avvia un’indagine indipendente. L’accusa rimane segreta e sigillata per otto anni, anche se ci vuole solo un piccolo salto d’immaginazione per prevedere cosa possa contenere.

L’11 aprile 2019, giorno dell’arresto di Assange a Londra, l’accusa nei suoi confronti è aperta e resa pubblica. Ci si potrebbe porre delle domande su tale tempistica ma il motivo è piuttosto semplice: agli occhi del governo USA Assange è ora nelle mani di un paese alleato (si potrebbe dire complice o vassallo, a seconda dei punti di vista) che faciliterà l’estradizione di Assange. È accusato di cospirazione per commettere intrusione informatica (hacking in un computer del governo), un crimine relativamente minore che comporta una pena massima di 5 anni, con possibilità di libertà condizionale, se ritenuto colpevole.

L’accusa deriva da un incidente nel 2010, quando Assange avrebbe detto alla sua fonte, l’allora soldato Chelsea Manning, che l’avrebbe aiutata a decifrare una password che le avrebbe dato un accesso più completo ai computer militari da cui stava trapelando materiale classificato da fornire a WikiLeaks e anche consentirle di utilizzare un diverso nome utente per evitare il rilevamento. Al momento non è chiaro se Assange sia mai riuscito a decifrare la password. 

In altre parole, il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti afferma che Julian Assange non ha solo ricevuto informazioni da un informatore e poi le ha pubblicate (il che non è un crimine, piuttosto è buon giornalismo), ma che ha cospirato con la sua fonte (Manning) per ottenere informazioni (il che è un crimine in quanto atto di spionaggio). L’informazione è stata quindi utilizzata, sostiene il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, per danneggiare gli Stati Uniti a vantaggio di una nazione straniera (il che fa sorgere la domanda: quale nazione? E se Assange è una spia, sta spiando per conto di chi? Il popolo?). In breve, il governo degli Stati Uniti spera di dimostrare che Assange è una spia e non un giornalista.

Il 23 maggio 2019, Assange è incriminato con 17 nuove accuse relative all’Espionage Act del 1917 presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto orientale della Virginia. Queste sono: cospirazione per ottenimento e divulgazione di informazioni sulla difesa nazionale, cospirazione per commettere intrusioni informatiche, sette capi per ottenimento di informazioni sulla difesa nazionale e nove capi per divulgazione di informazioni sulla difesa nazionale. Queste accuse comportano una pena massima di 170 anni di carcere senza possibilità di libertà condizionale. La maggior parte delle cause intentate ai sensi dell’Espionage Act sono state contro dipendenti del governo che hanno avuto accesso ad informazioni sensibili e le hanno trasmesse a giornalisti ed altri. Il perseguimento di persone per atti relativi alla ricezione e pubblicazione di informazioni non è mai stato precedentemente sperimentato in un tribunale.

Quando l’intera accusa contro Assange diventa di dominio pubblico, inizia un dibattito mondiale sulla libertà di parola e di stampa. L’intera questione ruota attorno a questa distinzione: Julian Assange è un giornalista od una spia?

La maggior parte dei rappresentanti del governo degli Stati Uniti difende l’opinione che Assange sia una spia e non un giornalista. Il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden (il grande e splendente cavaliere di speranza), arriva addirittura a definirlo un terrorista. Una volta che hanno finalmente capito cosa potrebbe significare il caso di Assange per le pratiche giornalistiche, i media mainstream si svegliano. Il New York Times commenta che esso e altre organizzazioni giornalistiche hanno ottenuto gli stessi documenti di Wikileaks anche senza l’autorizzazione del governo. Dice anche che non è chiaro come le pubblicazioni di Wikileaks siano legalmente diverse da altre pubblicazioni di informazioni riservate. L’accusa degli Stati Uniti secondo cui la pubblicazione di questi segreti da parte di Assange era illegale è considerata controversa dalla CNN, dal Washington Post e da altri media mainstream. L’Associated Press sostiene che l’accusa di Assange presenta problemi di libertà dei media, poiché la sollecitazione e la pubblicazione di informazioni riservate è un lavoro di routine svolto dai giornalisti.

Edward Snowden riassume il caso al meglio: “Il Dipartimento di Giustizia ha appena dichiarato guerra – non a Wikileaks, ma al giornalismo stesso. Non si tratta più di Julian Assange: questo caso deciderà il futuro dei media“. Gli fa eco Ron Paul (candidato alle primarie repubblicane del 2008 e 2012): “In una società libera dovremmo conoscere la verità … In una società in cui la verità diventa tradimento, allora siamo in guai grossi. E ora, le persone che stanno rivelando la verità si stanno mettendo nei guai per questo”. Ed aggiunge: “Questi sono i media, non è vero? Voglio dire, perché non perseguiamo il New York Times o chiunque pubblichi queste informazioni?”

Questo è l’intero problema del caso di Assange. Le accuse mosse contro Assange potrebbero essere applicate a qualsiasi altro mezzo di informazione e/o giornalista. Con il processo di Assange ciò che è veramente in gioco non è solo la vita del giornalista ed editore più coraggioso del nostro tempo, ma la libertà di stampa stessa. Se Julian Assange è considerato un editore, viene imprigionato come tale. E se questo messaggio passa, e cioè che pubblicare materiale che danneggia la reputazione e l’attività del governo degli Stati Uniti porterà alla prigione, ogni giornalista nel mondo dovrebbe aver paura. Ed è proprio questo lo scopo. Julian Assange viene utilizzato come esempio per inviare un chiaro messaggio ai giornalisti di tutto il mondo: i tuoi diritti alla libertà di stampa esistono finché lo decidiamo. Se mai oserai pubblicare materiale dannoso contro il governo degli Stati Uniti, sarai messo in prigione.

Il caso contro Julian Assange potrebbe essere sintetizzato con il motto latino “Unum castigabis, centum emendabis” (colpirne uno per istruirne cento), che, in tempi moderni, è stato riportato in auge nientemeno che da Mao Tse-Tung.

PROCESSO DI ESTRADIZIONE

La prima udienza sulla richiesta statunitense di estradizione di Assange si tiene a Londra il 2 maggio 2019. Il processo è presieduto dal giudice Emma Arbuthnot. Alla domanda se avesse acconsentito all’estradizione, Assange risponde: “Non desidero arrendermi all’estradizione per aver fatto giornalismo che ha vinto molti, molti premi e protetto molte persone”. Il giudice nega quindi agli avvocati di Assange altro tempo per preparare il loro caso – anche se al loro cliente viene impedito in carcere di ricevere documenti legali e altri strumenti con cui difendersi.

Verso la fine del 2019, il giudice Arbuthnot si fa da parte a causa di una “percezione di pregiudizi”. Si scopre che suo marito, Lord James Arbuthnot, un ex ministro della difesa conservatore con legami con l’establishment militare e l’intelligence britannica, stava lavorando a stretto contatto con la neo-conservatrice Henry Jackson Society (HJS), un gruppo di pressione di destra con un programma fortemente anti-Assange. L’HJS ha definito Assange “pazzo e paranoico” e ha descritto l’asilo concessogli dal governo dell’Ecuador come “l’ultimo squallido buco verso il quale il signor Assange pensa di poter correre”. Vanessa Baraitser è nominata giudice presidente. In qualità di magistrato capo, Arbuthnot rimane la figura legale supervisore “responsabile del… sostegno e della guida” del giudice Baraitser. In altre parole la Arbuthnot rimane il burattinaio. Non esattamente un esempio di imparzialità del sistema giudiziario britannico.

Il 21 ottobre 2019, Assange compare in tribunale per un’udienza di gestione del caso. Quando il giudice Baraitser chiede della sua comprensione del procedimento, Assange risponde: “Non capisco come questo sia equo. Questa super potenza (gli USA) ha avuto 10 anni per prepararsi a questo caso ed io non posso nemmeno accedere ai miei scritti. È molto difficile da dove sono fare qualcosa, ma queste persone hanno risorse illimitate. Dicono che i giornalisti e gli informatori sono nemici della gente. Hanno vantaggi ingiusti nel trattare i documenti. Non è equo ciò che sta accadendo qui”.

Poi la crisi del Covid esplode in tutto il mondo. Ciò rallenta notevolmente il procedimento. A settembre alcuni testimoni testimoniano a distanza tramite collegamento video. I problemi tecnici causano notevoli ritardi. Amnesty International e otto membri del Parlamento europeo vedono revocato il loro accesso al live streaming. Non viene fornita alcuna reale spiegazione per questo. Altri testimoni testimoniano che le condizioni di reclusione, che probabilmente peggioreranno dopo l’estradizione negli Stati Uniti, mettono Assange ad alto rischio di depressione e suicidio, che è esacerbato dal fatto che lui soffre di una forma di autismo. Lo psichiatra Michael Kopelman testimonia che una lama di rasoio nascosta è stata trovata nella cella della prigione di Assange.

Poi arriva la svolta del processo. Patrick Eller, un ex esaminatore forense presso il Criminal Investigation Command dell’esercito degli Stati Uniti, testimonia che Assange non ha violato e non avrebbe potuto decifrare la password menzionata nell’atto di accusa degli Stati Uniti, poiché Chelsea Manning aveva intenzionalmente inviato solo una parte dell’hash della password. Inoltre, Eller afferma che il messaggio di Manning non era correlato ai documenti classificati che erano già in suo possesso. In altre parole, l’UNICA accusa che avrebbe potuto trasformare la posizione di Assange da quella di giornalista a quella di spia si è dimostrata falsa.

Nel dicembre 2020 Assange chiede la grazia al presidente Trump e sei vincitori del Premio Nobel gli scrivono una lettera chiedendo la grazia per Assange.

Il 4 gennaio 2021, il giudice Baraitser dichiara che Assange non può essere estradato negli Stati Uniti, citando preoccupazioni per la sua salute mentale e il rischio di suicidio in una prigione statunitense. Gli Stati Uniti hanno 14 giorni per presentare ricorso contro la sentenza, durante i quali Assange deve rimanere in prigione. Il presidente messicano Andres Manuel López Obrador, durante una conferenza stampa, afferma che i diplomatici messicani aspetteranno la liberazione di Assange per offrirgli un’asilo politico. Gli avvocati di Assange chiedono che venga rilasciato su cauzione. Il 6 gennaio questa viene negata.

UNA VITTORIA DI PIRRO

La notizia che Julian Assange non sarà estradato negli Stati Uniti è una gradita vittoria, ma viziata da argomenti legali che dovrebbero preoccuparci profondamente. La negazione della sua estradizione non arriva a causa dei numerosi argomenti di principio contro il caso di estradizione degli Stati Uniti – che sono stati tutti respinti dal giudice – ma perché Assange è considerato a rischio di suicidio. Il sistema di incarcerazione di massa degli Stati Uniti è così ovviamente barbaro e depravato che Assange correrebbe il grave rischio di suicidarsi se diventasse un’altra vittima delle sue carceri di massima sicurezza. In altre parole, la richiesta di estradizione degli Stati Uniti è stata respinta su quello che è effettivamente un tecnicismo e non sulla base di principi.

Il giudice Baraitser ha appoggiato tutti i principali argomenti legali del governo statunitense per l’estradizione, anche se sono stati completamente demoliti dagli avvocati di Assange. Ha accettato la loro nuova pericolosa definizione di giornalismo investigativo come “spionaggio”, e ha sottinteso che Assange avrebbe anche infranto il draconiano Official Secrets Act britannico esponendo i crimini di guerra del governo. Inoltre ha convenuto che il Trattato di estradizione del 2007 si applica nel caso di Assange, ignorando le parole effettive del trattato che esentano casi politici come il suo. Con il suo giudizio ha aperto la porta alla possibilità che qualsiasi giornalista colpevole di imbarazzare Washington possa essere sequestrato nel suo paese d’origine e mandato negli Stati Uniti per essere processato. Come se non bastasse, Baraitser ha accettato che proteggere le fonti nell’era digitale – come ha fatto Assange con l’informatrice Chelsea Manning, un obbligo essenziale per i giornalisti in una società libera – ora equivale a un “hacking” criminale. Ha cestinato la libertà di parola e i diritti di libertà di stampa, dicendo che non forniscono “la discrezione illimitata di Assange per decidere cosa pubblicare”. Sembra inoltre approvare le ampie prove che dimostrano che gli Stati Uniti hanno spiato Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana, sia in violazione del diritto internazionale che del suo privilegio cliente-avvocato – una violazione dei suoi diritti legali più fondamentali che da sola avrebbe dovuto interrompere il procedimento.

Quindi, mentre celebriamo questa sentenza per Assange (sebbene non sia ancora fuori pericolo. Gli Stati Uniti hanno detto che appelleranno la decisione) dobbiamo anche denunciarla a gran voce come un attacco alla libertà di stampa, come un attacco alle nostre libertà collettive faticosamente conquistate e come un’attacco ai nostri sforzi per ritenere i governi responsabili dei crimini che commettono in nostro nome.

C’è un altro elemento preoccupante nella sentenza: dopo un decennio trascorso a screditare, disonorare e demonizzare Assange, questa sentenza non è altro che una continuazione di tale processo. L’estradizione è stata negata SOLO sulla base della salute mentale di Assange ed il suo autismo e per il fatto che è a rischio di suicidio. Se mai riacquisterà la sua libertà, sarà SOLO perché è stato caratterizzato come mentalmente infermo. Questo verrà usato per screditare non solo Assange, ma la causa per la quale combatte, l’organizzazione Wikileaks che ha contribuito a fondare e tutta le più ampie forme di dissidenza dalle narrazioni dell’establishment.

L’ultimo problema con la sentenza del giudice Barrister è, in termini pratici, che le sue argomentazioni diventano deboli in appello. Il giudice potrebbe aver (inavvertitamente ???) regalato agli Stati Uniti il ​​loro asso nella manica. A causa della natura della sentenza, tutto ciò che il governo degli Stati Uniti dovrà fare è fornire assicurazioni al giudice sul trattamento di Julian Assange. La strategia per l’appello statunitense, essenzialmente, consisterà nel dimostrare che il loro spaventoso gulag non indurrà Julian a suicidarsi (o suicidarlo, in stile Epstein… sapete, quando il destino decide che le guardie si addormentano e le telecamere si rompono tutto in contemporanea).

Personalmente temo (anche se spero sinceramente di essere smentito) che questo sia stato un tentativo del governo del Regno Unito di rifarsi a Ponzio Pilato e lavarsi le mani del caso di fronte all’opinione pubblica del proprio paese. Tutto ciò che l’appello deve ora considerare è: una prigione del Regno Unito è più sicura di una prigione degli Stati Uniti? Sulla base del tasso di suicidi dei prigionieri nel Regno Unito sarà facile dimostrare che non lo è ed Assange perderà l’appello. E così finalmente il governo degli Stati Uniti avrà la sua vendetta contro Assange per aver mostrato la verità sull’omicidio di stato di persone innocenti.

Se ciò avverrà, i governi del Regno Unito e degli Stati Uniti avranno de facto emesso una condanna a morte sia per Assange che per la libertà di stampa.

E ADESSO?

Ci piace credere, attraverso il lavoro della propaganda, che l’Occidente viva in una democrazia liberale e libera che difende la libertà individuale, la libertà di parola e di opinione e la libertà di stampa. Ma una delle tante cose che abbiamo imparato grazie a Julian Assange è che queste non sono altro che belle storie della buonanotte. Negli ultimi 10 anni Julian Assange è stato perseguitato dal sistema in un tentativo senza precedenti di mettere a tacere un’editore e giornalista. Il suo crimine? Aver portato alla luce i crimini di guerra statunitensi ed i loschi affari dell’élite occidentale che governa gran parte del mondo.

Vi invito a riflettere su questo: cos’è il giornalismo? Qual è il suo ruolo ed il suo dovere in una società libera? I giornalisti dovrebbero riferire solo ciò che le autorità gli consentono di riferire o dovrebbe essere loro dovere riferire in modo specifico e prima di ogni altra cosa ciò che le autorità non vogliono che riferiscano? Il vero giornalismo era il sistema di controllo del potere. Era la voce critica in difesa del bene comune, della costituzione, dell’anima etica della nazione contro quelli che al potere avrebbero osato oltrepassare i propri doveri. Ma negli ultimi trent’anni, attraverso la corruzione e le minacce, queste voci dissenzienti sono state lentamente messe a tacere. Poi, il 4 gennaio 2021, la sentenza pronunciata dal giudice Vanessa Barrister (un nome che vivrà nell’infamia) ha segnato la morte definitiva del giornalismo.

Il sacrificio di Assange e la sua persecuzione ci mostrano che, al di là dei proclami sulla democrazia e la libertà di stampa, l’essenza della libertà non è compatibile con un sistema in cui una piccola oligarchia regna, manipola, governa e influenza miliardi di persone ignare di ciò che li circonda e della verità davanti ai loro occhi. Questo perché, nelle parole di un altro vero giornalista Glenn Greenwald: “Coloro che non cercano di dissentire o sovvertire in modo significativo il potere di solito negheranno – perché non percepiscono – che tale dissenso e sovversione sono, di fatto, rigorosamente proibiti. Continueranno a credere beatamente che la società in cui vivono garantisca le libertà civiche fondamentali – di parola, di stampa, di riunione, di giusto processo – perché hanno reso il loro discorso ed il loro attivismo, se esiste del tutto, così innocuo che nessuno con la capacità di farlo si prenderebbe la briga di cercare di ridurlo.”

La battaglia di Julian Assange per difendere le nostre libertà, per difendere coloro in terre lontane che bombardiamo a nostro piacimento per promuovere gli interessi egoistici di un’élite occidentale, la sua lotta per rendere le nostre società più eque, per costringere i potenti a rendere conto delle loro azioni, per rendere la nostra politica meno corrotta, i nostri sistemi legali più trasparenti, i nostri media meno disonesti dovrebbero essere anche la nostra battaglia. Perché è NOSTRO DOVERE come cittadini. Se non combattiamo per questi valori, le nostre società sono condannate e destinate alla tirannia.

Julian Assange, un eroe dei nostri tempi, ci ha mostrato la strada. Spetta a noi portare la torcia nella speranza che avesse ancora una volta ragione quando ha affermato: “È mia ferma convinzione che il coraggio sia contagioso”.

La battaglia di e per Julian Assange finirà solo quando sarà liberato.

Se desiderate aiutare, ecco alcuni siti Web che ospitano una varietà di azioni:

https://assangedefense.org

https://dontextraditeassange.com

https://www.assangecampaign.org.au

LA SAGA DI JULIAN ASSANGE – SECONDA PARTE

Dal Film “V for Vendetta” di James McTeigue

DOPO LA SVEZIA

Dopo gli eventi in Svezia, solo una parola esce dalla bocca dell’informazione di massa: stupro. Viene stampata e ripetuta più e più volte da giornalisti, commentatori e conduttori televisivi. Questa (come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo) semplicemente non é una descrizione accurata degli eventi né una valutazione equa delle accuse giudiziarie. Ma d’altra parte, lo scopo non é quello di riferire in modo equo quello che é successo, ma di far entrare nella testa del pubblico il collegamento “Assange uguale stupratore”. È tradito dai suoi colleghi.

I giornalisti che hanno lavorato con lui sulle fughe dei registri afghani e iracheni gli voltano le spalle ed inizia una campagna diffamatoria senza precedenti. Viene definito uno “stupratore”, un “individuo narcisista”, descritto come “pieno di sé”, uno che “cerca attenzioni”, uno “strumento dell’intelligence russa”, un “utile idiota”, un “criminale”, una “spia “… Viene accusato di avere “problemi di igiene”, di non “lavarsi i capelli” e di “spalmare i propri escrementi sulle pareti” (quest’ultimo è del Guardian).

Questo segna la prima volta nella storia che un giornalista pluripremiato, che ha portato all’attenzione del pubblico crimini di guerra, viene diffamato per non essersi lavato i capelli. Inutile dire che questo è uno dei punti più bassi nella storia del giornalismo. Ma dopotutto l’intenzione è chiara e, sembrerebbe, nessun colpo basso è abbastanza basso. L’informazione di massa vuole assassinare il suo personaggio, per trasformare Assange, una figura molto popolare tra il pubblico, in un mostro.

Perché dovrebbero farlo? Posso solo darvi la mia opinione personale e la prima cosa che mi viene in mente è la famosa citazione di Upton Sinclair: “È difficile far capire qualcosa a un uomo, quando il suo stipendio di dipende dal fatto non lo capisca!” Inoltre credo che lo odiassero perché il suo modello editoriale era una minaccia alla loro esistenza.

Assange ritiene che: “La trasparenza e la responsabilità sono questioni morali che devono essere l’essenza della vita pubblica e del giornalismo”. O, nelle parole del giornalista australiano ed amico di Assange, John Pilger: “Crede che i giornalisti siano gli agenti del popolo, non del potere: che noi, il popolo, abbiamo il diritto di conoscere i segreti più oscuri di coloro che affermano di agire in nostro nome”. In effetti Assange ha costretto questi “giornalisti” a guardarsi allo specchio e quello che hanno visto è stato i loro continui compromessi con l’integrità della loro professione e il loro sostegno a favore del potere, perché questo è il modo più semplice per farlo. giornalismo. In breve Assange li ha fatti vergognare e loro lo hanno odiato per questo.

ASILO POLITICO NELL’AMBASCIATA DELL’ ECUADOR

Il 20 novembre 2010, la polizia svedese emette un mandato di arresto internazionale per Assange. L’ 8 dicembre Assange si consegna alla polizia britannica e partecipa alla sua prima udienza per l’estradizione. Rimane in custodia.

Il 16 dicembre, durante la seconda udienza, gli viene concessa la libertà su cauzione dall’Alta Corte e viene rilasciato dopo che i suoi sostenitori pagano 240.000 sterline in contanti. Un’ulteriore udienza il 24 febbraio 2011 stabilisce che Assange deve essere estradato in Svezia. Questa decisione viene confermata dall’Alta Corte il 2 novembre e dalla Corte Suprema il 30 maggio dell’anno successivo.

Assange continua a rivendicare la sua innocenza e che non é preoccupato per il procedimento in Svezia in quanto tale. Crede che le accuse svedesi abbiano lo scopo di screditarlo e siano un pretesto per la sua estradizione dalla Svezia agli Stati Uniti dove, teme, affronterebbe un processo ingiusto e parziale che si concluderebbe con la sua reclusione in un lontano buco infernale americano. Una prova di questa convinzione è che gli avvocati di Assange fanno oltre 30 offerte per far sì che Assange visiti la Svezia in cambio della garanzia che non sia estradato negli Stati Uniti. Naturalmente queste proposte non vengono mai accettate.

Il 19 giugno 2012, Julian Assange entra nell’ambasciata ecuadoriana a Londra chiedendo asilo politico. Due mesi dopo, il 18 agosto, il presidente ecuadoriano Rafael Correa conferma che Assange può rimanere all’ambasciata a tempo indeterminato. Nella sua dichiarazione formale, l’Ecuador afferma che “come conseguenza della decisa difesa della libertà di espressione e di stampa di Assange … in un qualsiasi momento, può verificarsi una situazione in cui la sua vita, la sua sicurezza o la sua integrità personale saranno in pericolo”.

L’ambasciata ecuadoriana è piccola; un appartamento di tre camere da letto circondato da alti edifici che bloccano tutta la luce del sole. Assange lo descrive come “vivere dentro un’astronave”. Non ha cure mediche adeguate, poco spazio e poca privacy. Agenti pesantemente armati del servizio di polizia metropolitana inglese circondano l’edificio 24 ore su 24, 7 giorni su 7, pronti ad arrestarlo se dovesse uscire. Delle telecamere a lungo raggio sono collocate negli edifici che circondano l’ambasciata ed applicano un sistema di sorveglianza (spionaggio?) 24 ore su 24, 7 giorni su 7. A tutti gli effetti questo diventa uno dei luoghi più sorvegliati al mondo. Per favore, ricordatevi che a questo punto tutto ciò di cui Assange è accusato dal sistema giudiziario britannico è di aver saltato la cauzione.

La sorveglianza della polizia è stata ritirata per motivi di costi nell’ottobre 2015 (3 anni dopo), ma la polizia afferma che avrebbe comunque impiegato “diverse tattiche per arrestarlo”. È stato riferito che il costo delle attività di polizia per il periodo è compreso tra i 12,6 ed i 16 milioni di sterline pagate con il denaro dei contribuenti.

Il 5 febbraio 2016, il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria studia il caso di Assange e conclude che è stato oggetto di detenzione arbitraria da parte dei governi del Regno Unito e della Svezia dal 7 dicembre 2010 (6 anni), compreso il periodo in prigione, su cauzione condizionale e presso l’ambasciata ecuadoriana. Il gruppo di lavoro afferma che Assange dovrebbe essere liberato e ricevere un risarcimento. I governi britannico e svedese respingono la richiesta.

Nel frattempo Julian Assange continua a dirigere WikiLeaks dall’interno dell’ambasciata.

EDWARD SNOWDEN E GOOGLE

Nel 2013 Edward Snowden, un dipendente e subappaltatore della CIA, divulga informazioni altamente classificate dalla National Security Agency (NSA). Le sue rivelazioni rivelano numerosi programmi di sorveglianza di massa globale gestiti dalla NSA con la collaborazione dei governi europei. Questo avvia una discussione internazionale sulla sicurezza nazionale e la privacy individuale.

WikiLeaks non ha nulla a che fare con la fuga di notizie né con la loro pubblicazione se non, forse, un’affinità spirituale tra informatori. Questa è la ragione più probabile per cui, nel giugno 2013, Assange e altri di WikiLeaks aiutano Snowden a fuggire dalle forze dell’ordine statunitensi ed a salvargli la vita. I dettagli della vicenda sono molto interessanti e divertenti ma un po lunghi da raccontare in questo articolo. Vi invito a cercarli su internet.

Nel 2014 Assange pubblica il libro “When Google met WikiLeaks” che racconta la storia dell’incontro tra Assange e Eric Schmidt (all’epoca CEO di Google). Nel libro Assange riporta lo stretto intrinseco legame tra le varie agenzie di spionaggio americane che, tramite Google, monitorano tutte le informazioni che transitano in rete. Inoltre, ci avverte del pericolo del monopolio dei servizi di Google. Afferma “Negli ultimi 15 anni Google è cresciuta all’interno di Internet come un parassita. Navigazione in Internet, social network, mappe, satelliti-droni, Google è nel nostro telefono, sul nostro desktop, sta invadendo ogni aspetto della nostra vita: sia personale che commerciale. A questo punto, Google ha un potere molto reale su chiunque usi Internet, cioè praticamente chiunque nel mondo contemporaneo”. Aggiunge inoltre: “Google è diventato malvagio. Ora è allineato con la politica estera americana. Ciò significa ad esempio che Google può intervenire nell’interesse degli Stati Uniti, può finire per compromettere la privacy di miliardi di persone e può utilizzare il potere della pubblicità a fini di propaganda”.

Le due visioni del futuro di Internet che emergono dal libro sono agli antipodi: per Assange “il potere liberatore della rete sta nella sua libertà e nel suo essere un mondo senza stato”. Per Schmidt, invece, “l’emancipazione di Internet coincide con gli obiettivi della politica estera americana“.

“Persone come Schmidt”, scrive Assange, “vi diranno che l’apertura mentale è una virtù, ma ogni punto di vista che sfidi l’eccezionalità americana, alla base della politica estera statunitense, rimarrà loro invisibile. Credono di fare del bene. E questo è il problema”.

ELEZIONI PRESIDENZIALI USA 2016

Durante le primarie presidenziali del Partito Democratico degli Stati Uniti del 2016, WikiLeaks tira fuori una delle loro fughe di notizie più audaci di sempre pubblicando e-mail inviate o ricevute dalla candidata presidenziale Hillary Clinton mentre era Segretario di Stato. È un terremoto politico di proporzioni bibliche.

In breve, questa è la storia: Hillary Clinton crea un server ed una rete di posta elettronica privati per se stessa, la sua famiglia ed i suoi più stretti collaboratori. Questo è vietato dalla legge perché così facendo si impedisce che le sue e-mail siano accessibili al governo federale ed al Congresso. Il server fisico è nascosto in un ufficio di proprietà dei Clinton a Manhattan, dove si trova anche il server della Fondazione Clinton. Hillary Clinton ha molte informazioni riservate su quel server. Le email del team di Clinton finiscono nelle mani di Assange e lui le pubblica su WikiLeaks. L’FBI inizia un’indagine sulla premessa che Hillary Clinton ha violato l’Espionage Act del 1913 consentendo che informazioni della difesa nazionale vengano “perse, rubate, astratte o distrutte” con “grave negligenza”.

Quando scopre dell’indagine dell’FBI, la Clinton cancella migliaia di e-mail con un programma chiamato “BleachBit”. La Clinton e il suo team legale utilizzano il software per distruggere circa 30.000 messaggi di posta elettronica che lei ritiene “personali”. Ma come ha sottolineato Trey Gowdy, membro della House Oversight Committee: “Non usi BleachBit per cancellare e-mail dei tuoi appuntamenti di yoga o con le tue amiche. Quando usi BleachBit, vuoi cancellare qualcosa che non vuoi che il mondo veda”.

Il rapporto dell’FBI dice che Justin Cooper, un’aiutante dei Clinton, ha distrutto due vecchi telefoni cellulari della Clinton “spezzandoli a metà o colpendoli con un martello“. Ciononostante, a seguito delle indagini, il direttore dell’FBI James Comey afferma che la Clinton é stata “estremamente negligente”, ma non ci sono motivi sufficienti per perseguire il caso.

Quindi cosa rivelano queste e-mail trapelate? Per la maggior parte niente di nuovo per coloro che avevano prestato attenzione alla carriera politica di Hillary Clinton. E cioè la discutibile relazione tra la Fondazione Clinton ed i suoi donatori, le sue amicizie con potenti interessi a Wall Street ed i suoi legami con ricchi contributori della campagna (oltre alla sua ricetta segreta per il “risotto perfetto”. Giuro!).

Ma che altro? Le e-mail fornivano una pistola fumante di qualche tipo? No. Ma, nelle parole di Assange: “Le e-mail di Clinton (…) creano una ricca immagine di come si comporti Hillary Clinton quando é in carica, ma, più in generale, di come opera il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti”.

Una di queste “ricche immagini”, secondo diversi osservatori, sebbene ciò non sia mai stato dimostrato, ritrae le vere ragioni dell’invasione franco-NATO della Libia ed il coinvolgimento attivo di Hillary Clinton nel far scoppiare la guerra. Devo sottolineare che la seguente versione non è stata ufficialmente dimostrata dalle email (o da qualsiasi altra fonte) ma la segnala perché personalmente la trovo sia interessante che plausibile.

Dunque la storia racconta che il Rais Muammar Gheddafi stava cercando, con la collaborazione di altri stati africani, di liberarsi dal giogo del FMI con la creazione di una nuova moneta panafricana. Voleva smettere di vendere petrolio libico in dollari USA ed iniziare a richiedere i pagamenti in “dinari” garantiti dall’oro (una valuta unica africana a base di oro, di cui la Libia aveva circa 150 tonnellate). Ciò aveva il potenziale di far crollare il dollaro ed il sistema monetario mondiale per estensione ed è, presumibilmente, la ragione dell’invasione e della rimozione di Gheddafi.

Qualunque cosa sia accaduta in Libia, quello che è certo è che il 22 luglio 2016 WikiLeaks rilascia un’altra serie di e-mail e documenti del Comitato Nazionale Democratico che apparentemente presentano modi per minare il concorrente più popolare Bernie Sanders a favore della Clinton mostrando apparenti favoritismi nei suoi confronti. Ciò porta alle dimissioni del presidente del partito Debbie Wasserman Schultz e solleva domande molto serie sulla legittimità dell’elezione di Hillary Clinton come candidato democratico. Le rivelazioni fatte da WikiLeaks giocano sicuramente un ruolo importante nella sua sconfitta contro Donald Trump.

Come tutti sappiamo (è stato ripetuto all’infinito negli ultimi quattro anni) dopo la sua sconfitta Hillary Clinton ed il Partito Democratico hanno iniziato ad accusare sia Julian Assange che Donald Trump di essere burattini russi (di Putin). Accusano Assange di essere una spia russa ed il governo russo di aver fornito ad Assange le e-mail trapelate. In altre parole, negli ultimi quattro anni il partito democratico ha accusato la Russia di aver violato (rubato) le elezioni del 2016 (il che è di per sé interessante considerando che oggi le stesse persone affermano che è impossibile farlo).

Julian Assange non ha mai detto da dove provenissero le fughe di notizie. In un’intervista del luglio 2016, ha insinuato che il membro dello staff del DNC Seth Rich fosse la fonte e che Rich fosse stato ucciso di conseguenza. WikiLeaks ha offerto una ricompensa di $ 20.000 per informazioni sul suo omicidio. Il procuratore speciale Robert Mueller, che ha condotto l’indagine sulla possibile interferenza russa nelle elezioni del 2016, ha affermato che Assange “sottintendeva falsamente” che Rich fosse la fonte per oscurare il fatto che la fonte fosse la Russia.

È impossibile, per ora, dire qual è la verità. Ma una cosa è certa: Julian Assange, agli occhi del governo Usa, aveva oltrepassato il limite. Doveva essere fermato. Non importa come.

ARRESTO NELL’AMBASCIATA ECUADORIANA

Il 2 aprile 2017 Lenín Moreno, il candidato di centrosinistra alle elezioni presidenziali ecuadoriane del 2017 ottiene una vittoria di misura. Subito dopo la sua elezione Moreno sposta drasticamente la sua posizione politica a destra, prendendo le distanze dall’eredità di sinistra di Correa e apportando cambiamenti neoliberali sia alla politica interna che a quella estera. Vuole, prima di tutto, migliorare le relazioni del paese con gli Stati Uniti.

Dopo una visita nel giugno 2018 del vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, Moreno acquista armi, apparecchiature radar, sei elicotteri e altre attrezzature dagli Stati Uniti. Inizia anche una collaborazione con il governo degli Stati Uniti che includerebbe formazione militare e condivisione di informazioni. Durante il loro incontro Pence e Moreno parlano anche di Julian Assange. Diventa ovvio ai più che Assange è un’elemento dell’accordo.

Moreno ed il suo governo impongono nuove restrizioni ad Assange. Mettono telecamere ovunque nell’ambasciata, perquisiscono ogni visitatore, interrompono la sua connessione Internet, dimenticano di fornire ad Assange cibo e carta igienica… insomma, gli rendono la vita impossibile.

Inoltre consentono un’ampia operazione di sorveglianza contro Assange dall’interno dell’ambasciata. Poi lo accusano di essere scortese con il personale, di essere sporco, di puzzare, di lasciare escrementi nella toilette, di spalmare feci sui muri dell’ambasciata… Vale la pena notare che durante i 6 anni di permanenza di Assange in ambasciata non è stato fatto un solo commento negativo sul suo comportamento. Eppure, durante i 18 mesi di presidenza di Moreno, se dobbiamo credere alla narrazione ufficiale, Assange diventa una bestia feroce.

Comunque sia, l’11 aprile 2019, l’Ecuador revoca il suo asilo politico, con Moreno che afferma che l’Ecuador ha “raggiunto il limite per il comportamento di Assange”. Moreno chiama Assange un “monello viziato” ed un “miserabile hacker”. Lo stesso giorno è consentito l’ingresso nell’ambasciata alla polizia metropolitana che arresta Assange in relazione alla sua mancata consegna alla corte nel giugno 2012 per l’estradizione in Svezia.

È interessante notare che negli stessi giorni Lenín Moreno ed il governo ecuadoriano erano in attesa di un’imminente decisione da parte del Fondo Monetario Internazionale per concedere all’Ecuador un prestito di 4,2 miliardi di dollari. Sono sicuro che ciò non aveva nulla a che fare con la decisione di revocare l’asilo di Assange.

Assange viene portato alla prigione di Sua Maestà Belmarsh, una prigione maschile di categoria A (alta sicurezza) a Thamesmead, nel sud-est di Londra, conosciuta “per gli amici” come la Guantanamo del Regno Unito. La prigione è considerata una delle prigioni più dure al mondo e ospita terroristi violenti e assassini. La prigione è stata accusata più volte di maltrattamenti ai suoi detenuti.

Il regime carcerario costringe i detenuti a rimanere in piccole celle per 22 ore al giorno con precarie cure sanitarie e psicologiche. Ad Assange viene negato il diritto di fraternizzare con altri prigionieri, non ha accesso a Internet né al telefono, il che ostacola notevolmente la sua capacità di preparare la sua difesa.

A costo di sembrare ripetitivo, devo ricordarvi che in questo momento tutto ciò di cui Assange è colpevole, agli occhi della legge britannica, è di AVER SALTATO LA CAUZIONE!!

Il 1 maggio 2019 viene condannato a 50 settimane di reclusione. Il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria afferma che il verdetto viola “i principi di necessità e proporzionalità” per quella che viene considerata una “violazione minore”. Nils Mielzer, relatore speciale sulla tortura alle Nazioni Unite, che visita Assange insieme a due medici esperti di tortura, conferma che l’attivista probabilmente morirà in carcere se sarà detenuto per lungo tempo.

È sorprendente notare che organizzazioni, come Amnesty International, che denunciano formalmente qualsiasi violazione dei diritti umani in paesi classificati come non liberali, non hanno detto una parola o organizzato campagne di sensibilizzazione per Julian Assange. Il silenzio assordante di tutte le associazioni giornalistiche è meno sorprendente ma altrettanto vergognoso.

FINE DELLA PARTE SECONDA Continua…

LA SAGA DI JULIAN ASSANGE – PRIMA PARTE

Dal film “We steal secrets. The story of Wikileaks” di Alex Gibney

Chi è Julian Assange? Per il governo degli Stati Uniti è un pericoloso hacker, una spia ed un terrorista che ha usato le sue capacità per rubare informazioni sensibili che hanno danneggiato gli Stati Uniti ed i loro agenti. Per i suoi sostenitori è un editore, un’eroico difensore della libertà di parola vittima di un tentativo senza precedenti da parte del sistema di mettere a tacere un giornalista. Il suo unico crimine, affermano, è quello di aver portato alla luce i crimini di guerra statunitensi e gli affari oscuri dell’élite occidentale che governa gran parte del mondo.

Ma qual è la verità? Vi invito a seguirmi in una storia di segreti militari, pirateria informatica e potere politico che dà del filo da torcere a John le Carré e, guarda caso, è anche una delle storie più importanti del nostro tempo.

GIOVENTÙ

Julian Paul Assange è nato il 3 luglio 1971 a Townsville, Queensland, Australia. Sua madre, Christine Ann Hawkins è un’artista e suo padre, John Shipton, un attivista pacifista ed un costruttore edilizio.

La famiglia è finanziariamente povera ma ricca intellettualmente; l’arte e la politica sono spesso soggetto di conversazione in famiglia. Il giovane Julian è un ragazzo intelligente e spiritoso soprannominato “il mago” da amici e familiari per la sua capacità di trovare soluzioni inaspettate e originali ai problemi.

Dopo il divorzio dei suoi genitori, Julian ha un’infanzia nomade, vivendo in oltre 30 paesi e città australiane fino all’adolescenza, quando si stabilisce con la madre ed il fratellastro a Melbourne.

Melbourne, a metà degli anni ’80, ospita comunità clandestine di hacker e rivoluzionari sociali; è un luogo di idee, ideali politici e sperimentazione. Lì il giovane Julian sviluppa una passione per i computer. Lui e i suoi amici prevedono l’imminente rivoluzione digitale, vogliono capirla e non solo farne parte, ma essere in prima linea. È un piccolo nerd (secchione) che passa la maggior parte delle sue giornate davanti ad un computer.

Nel 1987, all’età di 16 anni, Assange inizia ad “hackerare” con il soprannome di Mendax. Un hacker è una persona che esplora i metodi per violare le difese di un sistema informatico o di una rete informatica. Possono essere motivati ​​da una moltitudine di ragioni, come il profitto, la protesta politica, la raccolta di informazioni … Per il giovane Julian Assange è prima di tutto una sfida intellettuale.

Immaginate di essere un adolescente davanti ad un computer nella vostra stanza a Melbourne e di riuscire ad entrare nei computer della NASA. Insomma, queste sono le persone che hanno messo un uomo sulla luna … quanto vi sentireste intelligente? E che emozione!

Si presume (ma non è mai stato dimostrato) che Assange potrebbe essere stato coinvolto nell’hack chiamato WANK (Worms Against Nuclear Killers, ma anche gergo per masturbazione) ai danni della NASA nel 1989. Si ritiene che il worm (verme-un malware informatico in grado di autoreplicarsi) sia stato creato da hacker con sede a Melbourne, ma nessuno è mai stato accusato ufficialmente. Il worm WANK è stato uno dei primi worm in assoluto ed era di natura giocosa e politica. Era programmato per indurre gli utenti a credere che i file dei loro computer fossero stati eliminati, tramite una finta finestra di dialogo per l’eliminazione di file che non poteva essere interrotta, sebbene nessun file sia stato effettivamente cancellato. Il worm conteneva oltre sessanta messaggi randomizzati visualizzati dagli utenti. Questi includevano “Vota anarchico” e “L’FBI ti sta osservando”. Lo slogan del worm, “Parlate di tempi di pace per tutti, ma poi vi preparate alla guerra“, era tratto dal testo della canzone “Blossom and Blood “dei Midnight Oil, un gruppo rock australiano noto per il suo attivismo politico.

Nel settembre 1991, Assange fu scoperto mentre si intrometteva nel terminal principale di Melbourne di Nortel, una multinazionale canadese di telecomunicazioni. Fu arrestato, si dichiarò colpevole di 24 accuse, fu condannato a pagare risarcimenti per 2.100 dollari australiani e rilasciato su cauzione per buona condotta.

Nel 1993, Assange fornisce la sua consulenza tecnica per assistere l’Unità di sfruttamento minorile della polizia di Victoria per perseguire persone sospettate di coinvolgimento in reati di pornografia infantile su Internet.

In seguito Assange studia programmazione, matematica e fisica alla Central Queensland University e successivamente all’Università di Melbourne. Non ha mai finito la laurea.

NASCITA DI WIKILEAKS

Ora c’è una cosa che è comune alla maggior parte degli hacker: vedono il mondo da una prospettiva diversa. La loro capacità di comprendere ed entrare nel funzionamento di sistemi informatici complessi permette loro di vedere la struttura che si nasconde dietro la superficie. Proprio come un architetto comprende la struttura fisica dell’edificio nascosto sotto una bellissima cattedrale, un hacker comprende il cablaggio dei sistemi digitali. Ciò consente loro di avere accesso alle informazioni reali che strutturano la realtà del nostro mondo digitalizzato. Possono vedere cosa c’è dietro le quinte, vedono la differenza tra le informazioni che vengono presentate al pubblico e ciò che c’è realmente sotto il cofano della macchina. In altre parole, vedono le bugie.

Si possono dire molte cose su Julian Assange ma nel 2006, quando ha co-fondato WikiLeaks, nessuno può negare che fosse guidato da una causa nobile e giusta: quella di esporre al pubblico le bugie che i governi e le figure potenti di tutto il mondo cercavano di nascondere.

WikiLeaks è stato creato come un gruppo anti-segretezza con la dichiarata intenzione di creare una piattaforma che consentisse di rivelare online, in modo sicuro, i documenti trapelati. Tecnicamente WikiLeaks non era altro che un dropbox digitale anonimo che consentiva agli informatori di caricare in modo anonimo le informazioni. Spiritualmente era una testata giornalistica che avrebbe usato queste informazioni per denunciare le ingiustizie di questo mondo. Questo non era mai stato fatto prima e si può dire che tutto ciò che è accaduto dopo è stata un’esplorazione, un esperimento, sulla libertà di parola da parte di un gruppo di guerriglieri.

Nei primi anni della sua esistenza nessuno ha prestato molta attenzione a WikiLeaks. Dopo tutto pubblicavano solo informazioni di paesi lontani, comprese rivelazioni sugli attacchi di droni nello Yemen, la corruzione nel mondo arabo, le esecuzioni extragiudiziali della polizia keniota, i disordini tibetani in Cina e lo scandalo petrolifero “Petrogate” in Perù.

Ma nel 2007 diventano improvvisamente di interesse per le autorità statunitensi dopo che pubblicano le “Procedure operative standard di Camp Delta”, un manuale militare che descriveva le operazioni quotidiane dell’esercito americano nella struttura di detenzione di Guantánamo Bay. Il manuale mostra continui abusi e indica che alcuni prigionieri venivano nascosti ai rappresentanti della Croce Rossa.

Il materiale pubblicato da WikiLeaks tra il 2006 e il 2009 ha attirato vari gradi di attenzione internazionale, ma è solo dopo che hanno iniziato a pubblicare documenti forniti dall’analista dell’intelligence dell’esercito americano Chelsea (nata Bradley) Manning, un giovane soldato scioccato da ciò che vedeva accadere intorno a lei, che WikiLeaks è diventato un nome conosciuto in tutto il mondo.

OMICIDIO COLLATERALE

Il primo dei documenti classificati forniti da Chelsea Manning e rilasciato da WikiLeaks è stato il famigerato video “Collateral Murder”, che mostra soldati degli Stati Uniti uccidere 18 civili da un elicottero in Iraq. Tra questi civili c’erano i giornalisti della Reuters Namir Noor-Eldeen ed il suo assistente Saeed Chmagh.

Dopo aver ricevuto il video, Assange ed i suoi collaboratori lavorano per una settimana per decifrare la crittografia militare del video; e quando ci riescono ciò che vedono scioccherà il mondo.

Il video, registrato il 12 luglio 2007, mostra l’equipaggio di due elicotteri Apache AH-64 statunitensi che sparavano con un cannone da 30 mm su un gruppo di civili a Baghdad, in Iraq.

Nel video si vede un gruppo di uomini che cammina per strada, questo gruppo viene erroneamente considerato dai soldati americani come un gruppo di ribelli. Parte dell’errore è dovuto alle telecamere che i due giornalisti Reuters tengono in mano e che i soldati ritengono siano armi.

Nell’audio del video possiamo sentire l’ordine di ingaggiare dato ed il cannone dell’elicottero che spara. Possiamo anche sentire i soldati americani esultare e ridere e prendere in giro le vittime con tremenda cattiveria e freddezza di cuore; come se stessero giocando ad un videogioco.

Quando il massacro finisce e la sparatoria si calma, vediamo passare un furgoncino civile guidato da Saleh Matasher Tomal. Il signor Tomal parcheggia il furgoncino ed esce per aiutare ed assistere i feriti. È a questo punto che gli elicotteri americani ricominciano a sparare, puntando al furgone e uccidendo il signor Tomal.

Quando l’attacco aereo è finalmente terminato, le truppe di terra statunitensi arrivano sulla scena. Guardano nel furgone e trovano due bambini feriti, il figlio e la figlia del signor Tomal. La bambina non può sbattere le palpebre perché i suoi occhi sono pieni di vetro. Uno dei soldati vuole portarla in un ospedale vicino ma i suoi superiori gli dicono di “smetterla di fare la fighetta”.

Quando la notizia dei bambini feriti viene trasmessa all’equipaggio dell’elicottero, possiamo sentire chiaramente il comandante affermare: “Beh, è ​​colpa loro se portano i loro bambini in battaglia”.

Alla fine l’attacco ha provocato 18 morti, 2 bambini feriti e nessuno dei militari statunitensi è mai stato ritenuto responsabile.

Per Assange era un dovere morale e civile pubblicare il video. Doveva mostrare al pubblico i crimini di guerra che le forze armate statunitensi stavano commettendo in Iraq. Dopotutto questo è ciò per cui WikiLeaks era stato creato: per smascherare le malefatte che i governi commettono a nome nostro. Non ebbe paura ed il 5 aprile 2010 pubblicò il video.

Questo divenne una notizia da prima pagina in tutto il mondo e contribuì notevolmente a cambiare la prospettiva pubblica sulla guerra in Iraq. Assange diventa così un personaggio pubblico, una specie di rockstar ed un simbolo per i manifestanti di tutto il mondo. Ed il governo degli Stati Uniti non lo ha mai perdonato.

Ecco un link al video. Non posso mostrarlo qui ma seguite il link “Watch on Youtube” qui sotto. ATTENZIONE: contiene immagini molto grafiche e sconvolgerà e farà star male qualsiasi essere umano con un’anima.

REGISTRI DI GUERRA IN IRAQ ED IN AFGHANISTAN

Per tutto il resto dell’anno Chelsea Manning continua la sua attività di denuncia e fornisce a WikiLeaks enormi quantità di informazioni.

WikiLeaks procede con un lavoro molto difficile di redazione e organizzazione delle informazioni e nell’ottobre 2010 pubblica i registri della guerra in Iraq, una raccolta di 391.832 rapporti classificati dell’esercito degli Stati Uniti dal campo di guerra in Iraq che coprono il periodo dal 2004 al 2009.

Questo segna la prima volta che Wikileaks lavora in collaborazione con l’informazione di massa. I registri vengono infatti pubblicati anche da giornali come il Guardian, il New York Times e Der Spiegel.

Questi registri sono stati scritti da militari mentre erano in servizio in Iraq. Erano resoconti di cose che avevano visto o sperimentato durante il compimento dei loro doveri militari. Erano una sorta di diari di guerra molto dettagliati. In effetti erano, e sono ancora, la descrizione più accurata di una guerra mai resa pubblica. E la storia che raccontano é una storia di un’indicibile orrore.

In primo luogo divenne evidente che gli Stati Uniti ed i loro alleati stavano nascondendo il numero di vittime civili. I registri segnalano 66.081 morti civili su 109.000 morti registrate. Si tratta di 15.000 morti civili in più rispetto a quanto precedentemente ammesso dal governo degli Stati Uniti.

Poi diventò chiaro che i prigionieri di guerra erano sottoposti a violente torture.

Inoltre i registri confermarono precedenti accuse secondo cui l’esercito americano avrebbe consegnato molti prigionieri all’Iraqi Wolf Brigade (un commando speciale di polizia iracheno) che era stato accusato di aver picchiato prigionieri, torturandoli con trapani elettrici e giustiziato i sospetti.

Il Guardian ha affermato che i registri mostrano che “le autorità statunitensi non hanno indagato centinaia di denunce di abusi, torture, stupri e persino omicidi da parte della polizia e dei soldati iracheni” perché avevano una politica formale di ignorare tali accuse.

I registri dimostrarono anche che l’esercito americano autorizzò un elicottero da combattimento Apache ad aprire il fuoco su ribelli iracheni che stavano cercando di arrendersi e che il personale militare statunitense era stato coinvolto in vari casi di prostituzione minorile.

Quando inizi a pubblicare questo tipo di segreti, i governi iniziano a perdere il controllo della narrativa. Fino a quel momento il governo statunitense aveva venduto alla popolazione americana la storia di una guerra giusta combattuta per sbarazzarsi di un dittatore brutale e disumano nella quale solo pochi civili venivano uccisi. Wikileaks rivelò le loro bugie e l’opinione pubblica iniziò a cambiare. Questo è il potere di WikiLeaks.

Naturalmente tali rivelazioni sono destinate a far infuriare molte persone all’interno del complesso militare statunitense e così fu. Julian Assange diventò improvvisamente il nemico numero uno.

Il governo degli Stati Uniti accusò WikiLeaks di mettere in pericolo vite umane fornendo informazioni sensibili al nemico. È vero che i documenti avrebbero potuto essere redatti meglio, ma vale la pena notare che questa era una “prima volta”: mai prima nella storia dell’umanità una tale quantità di materiale militare sensibile è finita sulla scrivania di un’agenzia di stampa. Vale anche la pena notare che WikiLeaks contattò la Casa Bianca prima di pubblicare i registri e chiese il loro aiuto per redigere le informazioni. La Casa Bianca rifiutò.

Assange ha affermato di sperare che la pubblicazione “corregga alcuni degli attacchi alla verità avvenuti prima della guerra, durante la guerra e che sono continuati dopo la guerra”.

Questa è stata la più grande fuga di notizie di sempre e ha fatto luce sulla lunga lista di crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

Nessuno nell’esercito degli Stati Uniti è mai stato ritenuto responsabile per nulla di tutto ciò.

CABLEGATE

Un mese dopo, il 28 novembre 2010, Assange e il suo team di WikiLeaks erano di nuovo al lavoro pubblicando un quarto di milione di telegrammi diplomatici statunitensi dal 1966 al 2010. Questo divenne noto come “Cablegate”.

Questi telegrammi erano una serie di documenti consistenti in rapporti e analisi scritte da diplomatici statunitensi in tutto il mondo e riconsegnati al Dipartimento di Stato. 100.000 di questi documenti erano contrassegnati come riservati e 15.000 come segreti.

Inizialmente WikiLeaks ha lavorato con organizzazioni di media occidentali affermate, pubblicando i telegrammi su cui si basavano i loro articoli.

I file dimostravano lo spionaggio degli Stati Uniti contro le Nazioni Unite e altri leader mondiali, rivelavano le tensioni tra gli Stati Uniti ed i loro alleati e mostravano la corruzione nei paesi di tutto il mondo contribuendo, tra l’altro, ad innescare la Primavera araba.

Dalle rivelazioni di questi documenti è emerso che tutte le cancellerie occidentali, i segretari dell’Onu, il segretario generale, nella persona di Ban Ki Moon, erano spiati dal governo degli Stati Uniti.

Inoltre, telegrammi hanno rivelato il tipo di pressione politica esercitata dai diplomatici statunitensi sulle loro controparti internazionali. Perché? Nelle parole dello stesso Julian Assange: “Quasi tutte le guerre iniziate negli ultimi 50 anni sono state il risultato di bugie dei media. Le popolazioni non amano le guerre. Devono essere ingannati per dichiarare guerre”.

Una tipica tattica rivelata dai documenti funzionava più o meno così: un diplomatico statunitense scriveva a un politico locale di qualsiasi paese alleato. Diceva qualcosa del tipo: “Abbiamo un problema con l’opinione pubblica del tuo paese: non sembrano sostenere le nostre guerre in Afghanistan o in Iraq. Ho bisogno che tu faccia qualcosa al riguardo. Voglio che organizzi un’intervista sul tuo canale televisivo principale in prima serata. L’intervista verrà fatta ad una donna afgana, la quale racconterà al pubblico una storia di quanto sia stato utile l’intervento militare statunitense per il popolo afghano. Non preoccuparti … provvederemo noi a fornire la donna in questione. Se non lo fai, ci saranno conseguenze.

In breve, il Cablegate ha mostrato al mondo fino a che punto il governo degli Stati Uniti era disposto ad andare per mantenere la sua egemonia sul mondo.

È a questo punto che il governo degli Stati Uniti ha avviato un’indagine su WikiLeaks e Julian Assange con l’accusa di spionaggio.

ALLEGAZIONI SVEDESI

Dopo aver pubblicato il video “Collateral Murder”, Julian Assange divenne una rockstar; era all’apice della sua popolarità ed era diventato un’icona culturale per molte persone in tutto il mondo. Era giovane, di bell’aspetto, sulla prima pagina su tutti i giornali internazionali e considerato un nobile guerriero che lottava ambiziosamente contro il sistema. Era ammirato e desiderato ed in ugual misura odiato e disprezzato.

Nell’agosto 2010 riceve un’invito a recarsi a Stoccolma, in Svezia, per tenere un discorso. La donna che organizza l’evento gli propone di soggiornare nel suo monolocale con una sola camera da letto. Gli dice che sarà via durante il suo soggiorno e che lui può avere l’appartamento per sé. Julian accetta.

Ma quando arriva in Svezia la donna, 31 anni, cambia il suo programma, dice ad Assange che non se ne andrà più e invita Assange a rimanere comunque a casa sua. Julian accetta l’offerta. Una cosa tira l’altra e hanno un rapporto sessuale consensuale.

Alcuni giorni dopo Assange incontra una seconda donna, di 26 anni. A detta di tutti è una fan di Assange. Una cosa tira l’altra e hanno un rapporto sessuale consensuale.

Quello che Assange non sa è che le due donne si conoscono. Quando le due donne scoprono che è andato a letto con entrambe, lo denunciano alla polizia il 20 agosto 2010. Riferiscono che Assange aveva avuto rapporti sessuali non protetti con loro che presumibilmente violavano la portata del loro consenso (secondo quanto dicono volevano che lui usasse un preservativo e lui non l’avrebbe fatto). Una delle donne, inoltre, accusa Assange di aver avuto rapporti sessuali non protetti con lei (dopo il loro primo incontro sessuale) mentre dormiva. È importante capire che tutto ciò che vogliono è che la polizia costringa Assange a fare un test per malattie sessualmente trasmissibili. La polizia dice loro che non possono obbligare Assange a fare questi test, ma che le loro dichiarazioni verranno date ad un pubblico ministero. NESSUNA accusa di stupro è stata mai fatta. Julian viene interrogato, il caso è chiuso, gli viene detto che può lasciare il paese e lui torna nel Regno Unito.

Nel novembre 2010, tuttavia, il caso viene riaperto da un procuratore speciale che afferma di voler interrogare Assange su due capi di molestie sessuali, uno di coercizione illegale e uno di “stupro di grado minore”. Questo è l’inizio di la battaglia legale che Assange ha combattuto da allora.

È interessante sottolineare che nel 2019 il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Nils Melzer ha indagato sulle accuse di stupro contro Assange e ha affermato di non aver mai visto un caso analogo in cui una persona è stata sottoposta a nove anni di indagini preliminari per stupro senza che delle accuse fossero presentate. Ha detto che gli avvocati di Assange hanno fatto oltre 30 offerte per organizzare la visita di Assange in Svezia in cambio della garanzia che non sarebbe stato estradato negli Stati Uniti e ha descritto tali assicurazioni diplomatiche come pratica internazionale di routine. Melzer ha criticato i pubblici ministeri svedesi, tra le altre cose, per aver presumibilmente modificato le dichiarazioni di una delle donne senza il suo coinvolgimento in modo da farlo sembrare un possibile stupro. Melzer descrive l’indagine svedese sullo stupro come “abuso di procedimenti giudiziari volti a spingere una persona in una posizione in cui non è in grado di difendersi”.

Il 19 novembre 2019 il procuratore Eva-Marie Persson chiude il procedimento penale svedese contro Julian Assange senza sporgere accuse formali. Annuncia di aver interrotto le sue indagini, dicendo che le prove non erano abbastanza forti.

FINE DELLA PRIMA PARTE

RITORNO AL FUTURO?

Dal film “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis

Il 23 marzo 1933, il parlamento tedesco approvò il “Decreto del presidente del Reich per la protezione del Popolo e dello Stato” (in seguito noto come decreto dei pieni poteri). Questo divenne la pietra angolare della dittatura di Adolf Hitler e gli permise di emanare leggi, comprese quelle che violavano la Costituzione di Weimar, senza l’approvazione del parlamento o del presidente del Reich. I giudici tedeschi (vale a dire la Corte Suprema) non contestarono la legge. Consideravano il governo di Hitler come legittimo e continuarono a considerarsi come servi dello stato al quale dovevano la loro fedeltà. La legge “concedeva formalmente al governo l’autorità di emanare qualunque editto volesse con il pretesto di porre rimedio all’angoscia della gente“. Ciò diede a Hitler il pieno potere decisionale su tutte le decisioni politiche in Germania. Dieci anni dopo questa legge diede vita ai ghetti, alle deportazioni di ebrei e dissidenti, all’appropriazione di ricchezze private, alle incursioni notturne delle SS, alla macchina da guerra e infine all’Olocausto.

Il 18 novembre 2020, il parlamento tedesco ha approvato una legge denominata “Legge sulla protezione dalle infezioni” (“Das Infektionsschutzgesetz” in tedesco). La Legge “concede formalmente al governo l’autorità di emanare qualunque editto voglia con il pretesto di proteggere la salute pubblica”. Fino ad ora, il governo tedesco si è basato principalmente sui decreti per affrontare la crisi del coronavirus, una pratica che è stata criticata dai parlamentari di tutti i partiti e ritenuta incostituzionale da alcuni. Ufficialmente questa nuova legge trasferisce parte del potere legislativo dal parlamento all’esecutivo (il governo). La legge sulla protezione dalle infezioni creerà una base giuridica per permettere al governo di limitare alcuni diritti fondamentali sanciti dalla costituzione tedesca nel suo tentativo di combattere la pandemia (?). Il governo lo stava facendo comunque – ordinando blocchi, coprifuoco, divieti di viaggio, divieto di manifestazioni, irruzione in case private e attività commerciali, molestie e arresti di dissidenti, ecc. – ma ora queste pratiche sono state legittimate dal Bundestag e sancite dalla legge.

Ad essere onesti ad oggi sarebbe leggermente ingiusto confrontare le due leggi. Soprattutto perché, per ora, tutti i decreti governativi, approvati con questa nuova legge, possono essere solo misure temporanee e scadono dopo quattro settimane. Ma consiglio, vivamente, a tutti noi, di pensare a quanto pericolosamente stiamo giocando con i nostri diritti costituzionali (sto usando l’esempio della Germania ma la maggior parte dei paesi occidentali utilizza simili tattiche politiche).

Ovviamente sento già la ribattuta più elementare (volevo scrivere primitiva – oops l’ho appena fatto) a questo: “siamo in una situazione di emergenza ed in una situazione di emergenza devono essere prese misure estreme”. Supponiamo, per amore del dialogo, che tale pensiero sia corretto. Quando finirà l’emergenza? Con la totale scomparsa del virus (altamente improbabile)? Con le vaccinazioni obbligatorie di massa (no, non entro in questa diatriba adesso come adesso)? Quando sarà completato il “grande reset” economico? Quando i media decideranno che è finita? Con la seconda venuta del Cristo? Quando? Non ho risposta. Ma quello che so per certo è che una volta che una legge entra nei libri del potere è molto raro che ne esca (eliminare un’illimitato potere esecutivo solo per amore della democrazia? Ma siete pazzi?) Un esempio molto recente di questo viene da i nostri amici americani. Ricordate la retorica dopo l’11 settembre? Assomigliava a qualcosa del genere: “siamo in una situazione di emergenza ed in una situazione di emergenza devono essere prese misure estreme” (suona familiare). Questo diede vita al Patriot Act e al più grande programma di sorveglianza statale che il mondo abbia mai visto. Doveva essere una misura temporanea. Sebbene leggermente modificato (principalmente grazie al patriota americano Edward Snowden ed a uno degli ultimi veri giornalisti presenti sul pianeta terra Julian Assange) è rimasto attivo fino al 27 marzo 2020, 19 anni dopo la dichiarazione di emergenza.

Vale la pena ricordare che il totalitarismo non compare mai da un giorno all’altro. Non vai a dormire in una democrazia e ti svegli la mattina dopo in uno stato totalitario. Il totalitarismo è come una pianta che ha bisogno di essere annaffiata e di tempo per crescere (chiedo scusa a tutte le piante per la metafora poco lusinghiera). Cresce poco a poco, passo dopo passo, accomodamento per accomodamento, razionalizzazione per razionalizzazione. Nasce dall’apatia, dall’ignoranza, dalla paura e dalla condiscendenza verso il potere. Nasce dal conformismo (su questo argomento consiglio a tutti di andare a vedere, se non lo avete già fatto, il capolavoro di Bernardo Bertolucci “Il conformista”). Il passaggio da una democrazia al totalitarismo richiede mesi… anni. E tante concessioni del popolo al potere. Ma il risultato è sempre lo stesso. Sebbene le narrazioni e i simboli cambino, il totalitarismo porta sempre a meno libertà, più controllo e violenza come forma di governo.

Mercoledì scorso, mentre la legge sulla protezione veniva approvata dal parlamento, migliaia di manifestanti si sono riuniti per le strade. La maggior parte erano uomini, donne e bambini che protestavano pacificamente. Sono stati accolti da migliaia di poliziotti antisommossa che hanno picchiato e arrestato centinaia di loro e poi hanno annaffiato il resto con acqua gelata. (A proposito, non è ironico che un governo così preoccupato per la salute della sua gente abbia spruzzato acqua ghiacciata sui manifestanti a Novembre in Germania? La polmonite vi dice niente? Devo ricordarvi che la comune influenza é un Coronavirus?). Naturalmente questi manifestanti sono stati descritti dai media come “negazionisti”, “estremisti di destra”, “anti-vaxx”, “neonazisti” e così via. Per intenderci, come in tutte le proteste che raccolgono migliaia di persone, senza dubbio alcuni di questi elementi erano presenti. Ma per la maggior parte la protesta è stata pacifica (fino a quando la brutalità della polizia non ha preso il sopravvento) guidata da cittadini onesti che brandivano copie del Grundgesetz (la costituzione della Repubblica Federale di Germania), preoccupati per il gioco pericoloso al quale il loro governo stava giocando. Stavano protestando per contestare il diritto del governo di sospendere la costituzione tedesca a tempo indeterminato e governare la società con i decreti e con la forza. E sono stati accolti con violenza.

Ora a quelli di voi che si dicono che sto esagerando, che sono eccessivamente pessimista, una Cassandra, un pazzo cospirazionista (o un vero e proprio sciocco) e che questo tipo di stati totalitari non possono esistere e non esisteranno nelle nostre democrazie moderne, vorrei ricordarvi che qualsiasi mezzo di comunicazione alternativo che non sposa la narrativa ufficiale viene censurato (cosa è successo al buon vecchio mantra democratico “Non sono d’accordo con quello che dici ma sono disposto a morire perché tu possa dirlo”?) che un noto avvocato dissidente che ha intentato una causa dopo l’altra contro il governo tedesco definendo incostituzionale la loro gestione della crisi è stata rinchiusa con la forza in un reparto psichiatrico (tranquilli! Solo per un paio di giorni! Giusto il tempo per permetterle di riflettere alle conseguenze del suo comportamento) o che la polizia, pesantemente armata, sta arrestando blogger (anche se non è chiaro esattamente per cosa, poiché le autorità non hanno rilasciato dettagli ed i media mainstream non ne parlano) per citare solo alcuni simpatici esempi.

Uno di questi blogger è il dottor Andreas Noack, accusato di aver fornito assistenza medica (sì, avete letto bene: assistenza medica) a centinaia di manifestanti durante le proteste di blocco contro il governo tedesco. I verbali indicano anche che il dottor Noack era indagato dalle autorità per non essere conforme alle leggi del lockdown. Se non mi credi, fai clic sul link sottostante. Non c’è bisogno di parlare tedesco. Ma ti avverto: questo è il video più spaventoso che guarderai per tutta la settimana. (Si prega di notare la chiara tana in stile Dr. No in cui si trova questo pericoloso individuo.)

https://dein.tube/watch/KfyFyIpd2qDxbnA?fbclid=IwAR11dJ_SqwSlfspjdMsk6gY-CkLaWlEJyRSyaM5cxzT2zH4e9OLwZ4_Kj7I

Infine, come proverbiale ciliegina sulla torta, abbiamo questo democratico gentiluomo: Aziz Bozkurt, il presidente del gruppo migrazione e diversità dell’SPD (il Partito socialdemocratico tedesco – mi viene da piangere) che chiede, con un tweet, che le persone che rifiutano di conformarsi alla “Nuova normalità”, siano deportate “Non importa come. Non importa dove. Basta che sia fuori dal mio paese.” Presumibilmente il suo non importa come e dove ha qualcosa a che fare con dei treni?

Voglio essere chiaro: non sto inveendo contro i nostri amici tedeschi. Lo stesso sta accadendo in Italia, in Francia, in Inghilterra e così via. Non è un problema solo tedesco, è generalizzato. In tutta Europa la polizia sta dando la caccia ai “senza mascherina” per le strade, facendo irruzione nei ristoranti, nei bar e nelle case delle persone. In tutta Europa i nostri diritti costituzionali vengono sospesi in nome di un’emergenza che potrebbe non avere fine. In tutta Europa la crisi viene utilizzata come forma di governo attraverso la paura e la violenza. In tutta Europa il dibattito democratico viene messo a tacere a favore della propaganda di stato (senza dibattito ci può essere solo propaganda). In tutta Europa i conformisti, quelli che lasciano che la loro vita sia governata dalla paura, dall’apatia e dalla codardia stanno dando sempre più potere allo stato perché “sanno meglio di me quello che va fatto” e “lo fanno per il nostro bene” (questi, ovviamente, sono le stesse persone che in un futuro non troppo lontano affermeranno: “Stavo solo eseguendo ordini!”). In tutta Europa il disaccordo e la protesta contro la “nuova normalità” sono accolti dalla violenza.

Chiedo solo, a voi ed a me stesso, “fino a quando”? Quando finirà questo pericoloso, pericoloso, pericoloso gioco al quale stiamo giocando? Ammetto di essere un pessimista su questo argomento. Una volta che questo genere di cose inizia, nel migliore dei casi, non si ferma finché la democrazia non è altro che una favola da raccontare ai bambini mentre vanno a letto (lo scenario peggiore finisce con milioni di morti). Potrebbe volerci un po ‘di tempo per arrivarci ma non illudiamoci, il chiaro ed imminente pericolo è che è lì che stiamo andando.

SE VOGLIAMO CHE TUTTO RIMANGA COME È, BISOGNA CHE TUTTO CAMBI

Dal film “Il Gattopardo” di Luchino Visconti

ATTENZIONE: il seguente articolo farà probabilmente arrabbiare sia i sostenitori di Biden che quelli di Trump!

Continuo a vedere festeggiamenti e giubilo ogni volta che apro Facebook: il “mostro” Donald Trump è sconfitto (forse?) E Joe Biden sarà il prossimo presidente degli USA (forse? E se così fosse… per quanto tempo?).

Capisco la gioia; ho sempre detestato Trump perché rappresenta tutto ciò che disprezzo in un uomo. Ma queste celebrazioni mi sembrano francamente eccessive.

Dobbiamo tenere a mente chi è Joe Biden e ciò che mostra il suo curriculum. Tanto per non essere sopraffatti dall’entusiasmo dimenticandoci che è dovere di ogni cittadino che crede nella giustizia sociale, nell’uguaglianza, nell’amore, nella compassione e nella possibilità di un mondo migliore, tenere sotto controllo le persone al potere. È nostro dovere mostrare a Biden lo stesso livello di scrutinio e pressione politica che abbiamo mostrato a Trump.

Joe Biden, dobbiamo sempre ricordarlo, è stato il vice presidente del “Premio Nobel per la pace” Barack Obama. Un altro presidente celebrato come una speranza di cambiamento negli Stati Uniti. Sappiamo tutti come è andata a finire. Il “Nobel per la pace” (e il suo secondo in comando), durante la sua presidenza, ha sganciato bombe su Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria. Ha dato il via libera alle “guerre dei droni”, alle “kill lists” e ha mantenuto la prigione di Guantanamo attiva e funzionante (nonostante avesse promesso il contrario). Ha imposto sanzioni criminali contro il Venezuela, definito “una minaccia insolita e straordinaria alla sicurezza nazionale”, armato i golpisti a Caracas, così come a Managua, nel fallito tentativo di rovesciare il governo sandinista guidato dal comandante Daniel Ortega in Nicaragua. Ha sostenuto le operazioni “giudiziarie” in America Latina che hanno portato al colpo di stato parlamentare contro la presidente socialista Dilma Rousseff in Brasile e l’uccisione politica dell’ex presidente argentina Cristina Kirchner (una socialdemocratica di centro sinistra).

La famiglia Biden ha legami e interessi affaristici poco chiari con i neonazisti in Ucraina. Hunter Biden – il figlio di Joe – è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Burisma Holdings, una compagnia di gas ucraina, nel maggio 2014, con uno stipendio di $ 50.000 al mese. Il figlio di Biden è stato scelto nonostante non parlasse la lingua e non avesse particolari esperienze in campo energetico. Ma è stato cooptato pochi mesi dopo la decisione di Obama di affidare al suo vicepresidente il compito di seguire la transizione politica in Ucraina. Dove per transizione intendiamo la rivoluzione colorata che ha portato al potere i neonazisti in Ucraina al posto del presidente Viktor Yanukovich.

Poi c’è il famigerato disegno di legge sul crimine del 1994 che ha esteso la pena di morte a 60 nuovi crimini, ha irrigidito le condanne, ha offerto agli stati forti incentivi finanziari per la costruzione di nuove prigioni e ha contribuito a portare all’ondata di incarcerazioni di massa (per lo più di uomini neri) che ha portato gli Stati Uniti ad avere il 25% della popolazione carceraria mondiale.

In breve, i democratici e gli antimperialisti sinceri non hanno motivo di celebrare l’elezione di Joe Biden se non per il fatto che non è Trump. E teniamo a mente le immortali parole di Gore Vidal: “La democrazia americana è un’aquila che ha due ali: entrambe destre”.

Vi invito quindi ad ascoltare le sagge parole del candidato presidenziale del Partito dei Verdi americano Howie Hawkins, quando afferma tramite il suo profilo Twitter: “Non importa chi siede alla Casa Bianca, continueremo a lottare per la giustizia sociale, per la democrazia e per i diritti umani centrati sulle persone”.

Questo è il dovere di ogni sincero umanista e fedele credente nella democrazia con la consapevolezza che il mondo può e deve essere un paradiso per tutti.

Quindi attenuate le celebrazioni e preparatevi di nuovo a combattere, perché se Biden entrerà nella Casa Bianca non diventerà magicamente un cavaliere di scintillante bianco vestito. Un’indicazione di ciò è il fatto che la sua campagna è stata in gran parte finanziata, tra gli altri, da vari hedge fund di Wall Street e da 44 miliardari (secondo Forbes). Secondo bloomberg.com ha raccolto quasi 1 miliardo di dollari (un record assoluto). Questi donatori faranno pressione sulla sua presidenza e no, non hanno a cuore i migliori interessi del popolo.

Quindi, PER FAVORE, PER FAVORE, PER FAVORE rimanete vigili e non pensate che tutto ciò che una sana democrazia richieda sono 15 minuti in una cabina elettorale ogni quattro anni e un paio di meme celebrativi su Facebook. È una lotta continua per la conoscenza, la giusta informazione e l’azione contro i poteri che dirigono la nostra vita politica e sociale, non importa chi essi siano.

Detto questo, e sono abbastanza sicuro che questo sia solo una vana speranza (ma non si sa mai), se il vecchio Joe dovesse scegliere la strada della Carta delle Nazioni Unite invece che della vecchia e già battuta strada di bombe, sanzioni e crimini internazionali, sono pronto a fare ammenda e diventare il suo primo sostenitore. Il mio augurio è di poter raccontare con stupore le politiche di discontinuità applicate dall’amministrazione Biden. Mi sembra molto difficile, date le premesse. Ma non voglio porre limiti alla provvidenza.