
di Woody Allen
DISCLAIMER: Il seguente articolo è il risultato del lavoro di Mauro Scardovelli (rettore di Unialeph, un’università italiana fondata con l’obiettivo di insegnare ed attuare i valori della Costituzione Italiana) e del suo team. Tutte le informazioni che vi troverete sono state presentate da alcune delle migliori menti nel campo della medicina che l’Italia ha da offrire. La maggior parte di loro ha lavorato in prima linea sin dall’inizio della crisi Covid. Mi reggo sulle spalle di giganti. Tutto quello che ho cercato di fare è riassumere, organizzare e semplificare (ove possibile) le informazioni fornite nel tentativo di renderle comprensibili a tutti. La maggior parte delle statistiche si basa sulla situazione in Italia (che è la peggiore in Europa e quindi un buon caso di studio). Quello che segue è un esercizio di ragionamento (dal latino rationem: capire le cause). Questo articolo NON costituisce un protocollo medico ufficiale. In caso di sintomi DOVETE contattare un medico. L’articolo è diviso in due parti: la PRIMA PARTE è una panoramica degli aspetti medici della crisi, la SECONDA PARTE copre gli aspetti politici, sociali ed economici.
QUADRO GENERALE
Cominciamo dalle basi: un nuovo virus si è fatto strada nella natura; si chiama SARS-CoV-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), appartiene alla famiglia dei coronavirus e causa la “malattia da Coronavirus 2019” (COVID-19). Il primo caso è stato identificato a Wuhan, in Cina, nel dicembre 2019 (sebbene sia i tempi che l’ubicazione siano oggetto di dibattito). L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato l’epidemia una pandemia l’11 marzo 2020.
Le origini di questo virus, ad oggi, sono ancora poco chiare. Esistono tre ipotesi principali. Uno: il virus è di origine animale (la famosa ipotesi del pipistrello del mercato umido) ed è poi mutato in infettivo per l’uomo. Due: è un virus artificiale (vicino a Wuhan c’è un laboratorio che studia i virus, specificamente i virus legati ai pipistrelli) sfuggito al controllo dei ricercatori. Tre: è un’arma biologica rilasciata apposta sulla popolazione (non sappiamo da chi o perché). Le tre opzioni sono possibili ma, come ho detto, non sappiamo ancora niente con certezza e qualsiasi conclusione, al momento, sarebbe puramente speculativa.
Qualunque sia la sua origine, il virus ESISTE ed è da moderatamente ad altamente contagioso (a seconda di chi parla).
Nella stragrande maggioranza dei casi il virus non provoca reazioni (asintomatici) o reazioni molto leggere (paucisintomatici) nella persona infetta. MA in alcuni casi provoca un’iper-infiammazione polmonare molto grave che può portare alla cosiddetta “tempesta citochinica” (ne parleremo più avanti). In alcuni casi questo può portare alla morte.
PATOGENESI DEL VIRUS
(Patogenesi: il modo di produzione o sviluppo di una malattia.)
La malattia Covid ha tre fasi di sviluppo.
FASE 1: fase di risposta virale
Una fase iniziale, prettamente virologica, in cui prevale la replica virale. Di solito è una fase caratterizzata da una sintomatologia clinica non particolarmente grave come febbre, dolori ossei, mal di testa, nausea, diarrea… Questa fase virale tende a diminuire perché subentra la risposta infiammatoria del malato. (Per la maggior parte dei pazienti questo è utile perché aiuta a controllare l’infezione. Questa é la “ragion d’essere” della febbre, che è un meccanismo di difesa naturale. Le alte temperature, sopra i 38 gradi, uccidono i virus.)
FASE 2: Fase polmonare
Quando la risposta infiammatoria prende piede cede la risposta virologica. Questo è ciò che accade in tutte le malattie infettive. Fino a questo punto (fino a metà della seconda fase) la malattia non è peggiore della comune influenza. Nella maggior parte dei casi (l’80% dei pazienti sintomatici infetti) si tratta di una malattia lieve che guarisce da sola in una decina di giorni e senza complicazioni. MA in un certo numero di pazienti sintomatici infetti (il restante 20%) si innesca una risposta infiammatoria disregolata (una risposta infiammatoria eccessiva), che porta alla terza fase della malattia.
FASE 3: fase di iper-infiammazione
In alcuni pazienti si innesca una risposta infiammatoria eccessiva e disregolata. Una vera e propria “tempesta citochinica” (Coagulazione intravascolare disseminata), che porta i pazienti a una sindrome emofagocitica (disturbo delle capacità immunoregolatrici), all’ insufficienza respiratoria, alle terapie intensive ed in alcuni casi alla morte.
OBIETTIVO DELLE TERAPIE
Se c’è una cosa su cui tutti i medici sembrano essere d’accordo questa è il fattore tempo. La lotta al Covid è una corsa contro il tempo; l’intervento medico deve essere tempestivo. L’intervento medico deve essere mirato alla prima e alla seconda fase della malattia. Quando i pazienti entrano nella fase di iper-infiammazione diventa molto più difficile aiutarli.
Quindi, fondamentalmente, la terapia antivirale dovrebbe essere concentrata all’inizio della malattia. Quando si passa alla fase iper-infiammatoria della malattia i farmaci antivirali non servono più. A quel punto tutta la terapia si basa sulla modulazione dell’eccessiva risposta infiammatoria, sul tentativo di spegnere la “tempesta citochinica” che si è generata nei polmoni del paziente.
Tra questi due estremi, ovviamente, c’è una zona intermedia che, a parere di molti medici, è la zona in cui si dovrebbe concentrare il massimo sforzo terapeutico.
L’obiettivo delle terapie dovrebbe essere quello di intercettare i pazienti nella fase iniziale della malattia e curarli immediatamente con la terapia antivirale.
Se il paziente evolve verso la fase iper-infiammatoria, l’altro obiettivo è quello di intercettare precocemente l’insorgenza di questa eccessiva risposta infiammatoria per evitare di trovarsi di fronte a pazienti nei quali il contenimento è molto difficile. A quel punto tutta la partita si gioca sulla loro resistenza alla terapia ventilatoria.
Quindi essere precoci con la terapia dovrebbe idealmente evitare l’evoluzione verso la terza fase della malattia, quindi salvare vite umane e ridurre i ricoveri in ospedale ed in terapia intensiva.
TERAPIE
La maggior parte dei medici è confusa sul trattamento da adottare perché, ad oggi, nessuno ha fornito un piano terapeutico ufficiale. Il governo e le istituzioni sanitarie hanno suggerito quali trattamenti NON usare ma nessuno si è preso la responsabilità di consigliare l’uso di una terapia specifica.
Quindi i medici in prima linea hanno dovuto inventarne/crearne una utilizzando i frutti della loro esperienza ed osservazione acquisite vicino al letto dei pazienti; fuori dai laboratori, fuori dalle ruminazioni mentali. E questo è quello che hanno trovato:
I farmaci svolgono ruoli diversi in momenti diversi. Diversi farmaci sono necessari durante le tre fasi della malattia.
FASE 1: La terapia antivirale dovrebbe essere concentrata all’inizio della malattia. I medici non possono restare inattivi e consentire alle persone di stare a letto senza una terapia adeguata o, peggio ancora, con una terapia, ad esempio il Paracetamolo, che può essere dannoso (il Paracetamolo è pericoloso nei pazienti Covid perché crea un impoverimento delle riserve di Glutatione, che è essenziale come antiossidante ed è molto utile nelle reazioni antinfiammatorie. Rimuovere il Glutatione significa aprire le porte all’avanzamento dell’infiammazione.) La fase 1 va affrontata con rimedi antivirali e antinfiammatori che bloccano o riducono lo stato infiammatorio (ad esempio vitamina C e D). C’è un farmaco in particolare che ha dimostrato (sul campo) di essere il più efficace in questa fase. Ma tratteremo (ampiamente) di questo nel prossimo capitolo.
FASE 2: i rimedi antivirali devono essere proseguiti per un po’ ma iniziano a perdere efficacia. L’eparina a basso peso molecolare (un anticoagulante con una forte attività immunomodulante) deve essere iniziata non appena compaiono i primi segni di iper-infiammazione, insieme agli antibiotici. L’uso di antibiotici è necessario perché ha un’azione su possibili superinfezioni batteriche. Perché? perché un polmone infiammato è predisposto alla colonizzazione di batteri patogeni. Un polmone infiammato che produce muco è un terreno fertile fantastico per i patogeni. Non possiamo sottolineare abbastanza che il tempismo è essenziale. I pazienti morti a Marzo e Aprile erano, nella maggior parte dei casi, pazienti sui quali non è stato effettuato alcun intervento. Erano pazienti che sono stati lasciati a casa da soli.
FASE 3: Come abbiamo già accennato, i pazienti che raggiungono la fase tre della malattia sono seriamente compromessi. A questo punto l’obiettivo medico è quello di “spegnere” l’iper-infiammazione. Questo viene fatto con rimedi antinfiammatori e anticoagulanti. Ma questi richiedono tempo per avere effetto e molti pazienti che raggiungono la fase 3 non sono in grado di respirare normalmente. Quindi la maggior parte deve essere intubata. L’intubazione orale-tracheale è una pratica medica che può essere eseguita solo da un medico di terapia intensiva. È una procedura medica invasiva, estremamente delicata, che nessun medico utilizza a cuor leggero; è letteralmente l’ultima cosa che vogliono (e possono) fare. Vale la pena notare che la terapia intensiva è vista dalla maggior parte dei medici come il fallimento della strategia terapeutica e NON, come invece promuovono i governi e i media, una risposta intelligente e strutturale alla malattia. Alla luce di ciò, avere cure più intensive come risposta principale del sistema a un’infezione virale è profondamente preoccupante.
IDROSSICLOROCHINA
Come accennato in precedenza, esiste un farmaco che ha dimostrato sul campo di essere il più efficace come antivirale durante la prima fase e la prima metà della seconda fase della malattia. Questo farmaco si chiama Idrossiclorochina ed è uno dei farmaci più controversi del caso Covid (alcuni lo chiamano la pistola fumante, la prova inconfutabile della cattiva gestione della crisi).
L’idrossiclorochina è un derivato della Clorochina. È un farmaco in uso da molto tempo, l’FPA americano lo ha approvato nel 1955 ed è il 128 ° farmaco più prescritto negli Stati Uniti. È un farmaco particolarmente testato, ha un costo molto contenuto (pochi euro a scatola) ed è di facile fornitura (è un farmaco comune). È più comunemente usato per prevenire la Malaria e chiunque abbia viaggiato in aree a rischio di malaria lo ha preso (so per certo di averlo fatto più volte nella mia vita).
Il farmaco può avere effetti avversi/collaterali (ovviamente! Tutti i farmaci hanno effetti collaterali! Anche l’aspirina!) ma questi sono trascurabili. Gli effetti collaterali più comuni sono nausea, crampi allo stomaco e diarrea. Altri effetti collaterali comuni includono prurito e mal di testa. I possibili effetti collaterali più gravi colpiscono l’occhio (Retinopatia -danno alla retina) generalmente dovuta all’uso cronico.
Prima di prescrivere il farmaco il medico deve sempre porre al paziente alcune domande (questo è il caso di QUALSIASI farmaco). Il paziente non deve essere affetto, ad esempio, dalla sindrome del QT lungo (una malattia cardiaca) o dal cosiddetto Favismo (un errore congenito del metabolismo che predispone alla disgregazione dei globuli rossi) o altre condizioni che interagiscono con l’Idrossiclorochina. Ma questo è l’ABC della medicina.
L’AIFA (Associazione Italiana del Farmaco – ente pubblico) ha inizialmente dato il via libera all’uso dell’Idrossiclorochina ma poi l’ha ritirata dal mercato. Ciò è stato fatto con il supporto di una serie di studi condotti negli Stati Uniti sostenendo che il farmaco può portare a effetti collaterali molto dannosi. Ma questi studi sono altamente problematici (tanto che The Lancet, la più antica pubblicazione scientifica al mondo, ha dovuto ritrattare lo studio che hanno incautamente e frettolosamente pubblicato). Molti medici non hanno problemi a chiamare questi studi fasulli. Questo perché questi studi sono stati effettuati su pazienti ospedalizzati (pazienti che avevano raggiunto la seconda metà della fase due o addirittura la terza fase della malattia) e con dosaggi molto molto elevati (sovradosaggio). In questo caso è ovvio che i pazienti mostreranno effetti collaterali dannosi. Come abbiamo visto in precedenza, l’idrossiclorochina è più utile nella fase iniziale della malattia e dovrebbe essere utilizzata con il dosaggio corretto. Vale la pena di sottolineare l’ovvio: qualsiasi farmaco, se usato a dosaggi molto elevati, può essere dannoso.
Peggio ancora (secondo l’opinione di chi scrive) le prove cliniche di migliaia di persone guarite con l’idrossiclorochina sono state ignorate e/o ostacolate dall’AIFA e dall’OMS.
L’Idrossiclorochina è stata utilizzata su migliaia di pazienti in Italia a un dosaggio ragionevole e per un periodo ragionevole. L’osservazione clinica di tanti medici autorevoli e soprattutto esperti, ha portato ad affermare che nella loro esperienza clinica l’Idrossiclorochina ha modificato positivamente l’andamento della malattia nei pazienti.
I medici onesti parlano della centralità del tempismo (ne abbiamo già parlato più volte). Il farmaco è utile all’inizio della malattia. E non deve superare il dosaggio di 800 mg al giorno per un massimo di 7 giorni.
Andrea Mangiagalli, tanto per fare un esempio pratico, uno dei primi medici di famiglia a testare “sul campo” l’efficacia dell’Idrossiclorochina, ha curato 300 pazienti. Non ha mai visto complicazioni tranne alcuni pazienti che hanno avuto una modesta diarrea (grado 1 o 2 molto modesto). Di questi 300 pazienti 3 sono stati ricoverati in ospedale, 1 è morto e 297 sono stati CURATI (non so voi, ma personalmente accetterei queste probabilità in qualunque momento).
Le prove fornite dai medici in prima linea non sono poche, sono prove forti e positive dell’utilità dell’Idrossiclorochina nella lotta contro il Covid. La cosa più gentile che si possa dire sul mancato utilizzo dell’idrossiclorochina è che il pericolo è stato sovrastimato dalle autorità. Tuttavia è opinione di chi scrive che il mancato utilizzo (a causa di incompetenza o connivenza) di una cura che avrebbe potuto potenzialmente salvare migliaia e migliaia di persone è un crimine contro l’umanità e deve essere giudicato in un tribunale.
(AGGIORNAMENTO: l’11 Dicembre 2020, dopo un’ardua battaglia legale durata sette mesi e portata avanti da un gruppo di medici di base, il Consiglio di Stato italiano ha approvato l’uso dell’idrossiclorochina come terapia per il Covid-19. Si legge nell’ordinanza: “La perdurante incertezza circa l’efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina, ammessa dalla stessa AIFA a giustificazione dell’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale”. Meglio tardi che mai!)
LETALITÀ, MORTALITÀ ED ALTRE STATISTICHE
La popolazione italiana é di 60.360.000 circa.
Al momento di scrivere (5 Dicembre 2020) secondo il Ministero della salute il totale dei tamponi effettuati è pari a 22.767.130 e cioè il 37.7% della popolazione.
I positivi al test PCR per il Covid-19 sono 754,169 cioè 1.24% di tutti gli italiani.
Il 94% dei contagiati è asintomatico (nessun sintomo) o paucisintomatico (sintomi leggeri).
I pazienti ricoverati con sintomi sono 31.200 cioè 4.1% dei positivi al test e lo 0,05% di tutti gli italiani.
Di quelli ricoverati sono in terapia intensiva 3.567 persone e cioè il 11.4% dei ricoverati, ovvero lo 0.47% di tutti i positivi, ossia lo 0.05% di tutti gli italiani.
I morti totali di/con (difficile da dire) Covid-19 sono 60.078.
Il virus ha quindi un tasso di letalità (numero delle persone decedute diviso per il totale dei positivi al test PCR) del 7.9% ed un tasso di mortalità (numero delle persone decedute a causa della malattia diviso per il totale della popolazione) dello 0.09%.
Il tasso di letalità del virus é di difficile interpretazione a causa di vari problemi con il test PCR (che vedremo nel prossimo capitolo).
Ma possiamo tranquillamente affermare che il Covid-19 è una malattia mortale ma il suo tasso di mortalità è percentualmente molto basso.
Quindi è una malattia da prendere sul serio ma che non dovrebbe farci impanicare.
Per essere chiari: il Covid-19 non è la “Peste nera” né “l’influenza spagnola” (che nel 1918-20, in un tempo in cui non avevamo Penicillina, Idrossiclorochina, Eparina, Antibiotici, Cortisone o terapie intensive, uccise tra i 50 e i 100 milioni di persone nel giro di due anni). La letalità del Covid è anche molto inferiore a quella di altri due moderni coronavirus: Sars-Cov1 (10% di letalità durante l’epidemia del 2002-04) o Mers (37% di letalità durante l’epidemia del 2002). Ed è incomparabile per letalità a virus estremamente pericolosi come l’influenza aviaria (60% di letalità) o l’Ebola (65% di letalità).
Per mettere le cose ancora più in prospettiva, il Covid ha una mortalità annuale inferiore rispetto agli incidenti stradali, ai suicidi e alle malattie respiratorie (a causa delle nanopolveri/inquinamento).
Vale anche la pena notare che oggi (autunno 2020) solo lo 0,5% di tutti i casi positivi finisce in terapia intensiva (cioè 30 volte in meno rispetto a Marzo).
Le ultime stime del tasso di sopravvivenza fornite dal Center for Disease Control (CDC-L’istituto sanitario nazionale degli Stati Uniti) sono:
Età 0-19 … 99,997%
Età 20-49 … 99,98%
Età 50-69 … 99,5%
Età 70+ … 94,6%
Infine si consideri che il 90% dei morti aveva più di ottant’anni e/o aveva altre malattie preesistenti (respiratorie, cardio vascolari, malattie metaboliche e/o obesità, diabete… insomma tutto ciò che produce infiammazioni nel nostro corpo). Questo è il motivo per cui i bambini e i giovani sani non si ammalano o mostrano sintomi molto molto lievi: hanno poche o nessuna infiammazione preesistente nel loro corpo.
Per concludere, il Covid è una malattia grave ma non ne moriremo tutti (a differenza di quello che la maggior parte della propaganda mediatica vuole farti credere). Tenendo presente questi dati, ogni ulteriore ragionamento deve imporre un’analisi “rischi e benefici”.
TEST PCR
Il test più comune (ce ne sono altri) per testare la positività per Covid-19 è il test di reazione a catena della polimerasi (PCR-Polymerase chain reaction, in Inglese). Si tratta di un metodo utilizzato per realizzare rapidamente da milioni a miliardi di copie di uno specifico campione di DNA, consentendo agli scienziati di prelevare un campione molto piccolo di DNA e di amplificarlo sufficientemente per poterlo studiare nel dettaglio.
Per iniziare credo sia importante chiarire cosa significhi “essere positivi al test PCR”. Essere positivo significa che la persona testata ha nel suo corpo un po ‘di acido nucleico (DNA e RNA) del virus. MA un soggetto positivo non significa che il soggetto sia malato. Né significa necessariamente che il soggetto sia contagioso.
Questo perché l’acido nucleico trovato non rappresenta necessariamente una particella virale infettante, può essere un residuo, un virus morto. Inoltre l’acido nucleico trovato non rappresenta necessariamente una concentrazione di virus sufficiente ad infettare (se stesso e gli altri).
Studi in vitro hanno dimostrato che affinché si verifichi l’infezione deve esserci almeno un milione di genomi equivalenti in un campione clinico (la carica virale). In altre parole è la carica virale (e non la presenza di acido nucleico) che determina se sei malato e quanto. MA il test PCR non è in grado di misurare correttamente la carica virale. Questo è uno dei problemi principali del test.
Il secondo problema ha a che fare con i cicli di amplificazione ed è un problema di uso improprio. Nel test PCR le sequenze di DNA prelevate dal soggetto in esame vengono amplificate esponenzialmente in una serie di cicli. Immaginate (per semplificare) un obiettivo zoom: più amplifichi lo zoom, più vicino e dettagliato vedi. Sempre semplificando, ogni grado di amplificazione dello zoom equivale ad un ciclo di amplificazione. Ora il problema è che quando il test viene eseguito a 35 o più cicli è inutile e fuorviante. Cito Anthony Fauci: “Se ottieni una soglia del ciclo di 35 o più… le possibilità che sia competente per la replica sono minuscole… non puoi quasi mai coltivare virus da un ciclo di 37 soglie… sono solo nucleoidi morti, punto.” Questa, tra parentesi, è una stima generosa. Gli scienziati più conservatori suggeriscono un massimo di 20-30 cicli.
In altre parole, troppi cicli e il test produrrà ogni sorta di materiale irrilevante che verrà erroneamente interpretato come rilevante. Questo è chiamato falso positivo. Un test PCR eseguito su 35 o più cicli di amplificazione darà un valore compreso tra il 50% e il 91% di falsi positivi (dalla possibilità più ottimistica a quella più pessimistica).
L’11 novembre 2020, la Corte d’appello di Lisbona in Portogallo ha dichiarato illegale la quarantena di quattro cittadini portoghesi. Hanno fornito questa ragione: “Sulla base delle prove scientifiche attualmente disponibili, questo test [il test RT-PCR] non è di per sé in grado di stabilire oltre ogni dubbio se la positività sia effettivamente equivalente all’infezione con il virus SARS CoV-2. E questo per diversi motivi, due dei quali di primaria importanza: l’affidabilità del test dipende dal numero di cicli utilizzati; l’affidabilità del test dipende dalla carica virale presente”.
Il problema dell’amplificazione dei cicli spiega anche come mai esistono differenze così disparate nel numero di contagi tra i diversi paesi. Germania e Austria, ad esempio, utilizzano 25 cicli di amplificazioni (e quindi hanno il numero più basso di contagi in Europa) Italia e Francia utilizzano tra i 35 e 45 cicli (il numero esatto è difficile da dire perché le autorità non sono chiare al riguardo) .
Chiudo questo capitolo lasciando la parola a Kary Mullis, l’inventore del test PCR, per il quale ha vinto il premio Nobel nel 1993: “Con la PCR chiunque può risultare positivo a qualsiasi cosa, se lo fai abbastanza a lungo (molti cicli di amplificazione). Per questo dobbiamo stare molto attenti ad utilizzare la PCR come test diagnostico”.
MASCHERINE FACCIALI
L’argomento delle mascherine è un campo minato. Primo perché per molte persone le mascherine sono diventate un simbolo, un totem di natura semi religiosa. Secondo, e questo é più importante, perché l’uso delle mascherine produce benefici in determinate circostanze ma gravi danni in altre.
La percezione che ha comunemente la maggior parte delle persone è che le mascherine siano qualcosa di scomodo, un fastidio, ma devono essere indossate perché fanno bene alla salute (poiché proteggono dal virus). Questo non è corretto: le mascherine sono un compromesso. Si tratta quindi di calcolare sempre costi e benefici.
L’uso prolungato della mascherina porta ad un peggioramento delle prestazioni cardio-polmonari e ad una riduzione della funzione respiratoria. Questo è innocuo in soggetti sani che indossano la mascherina per brevi periodi ma pericoloso in soggetti con cardiopatie. Questo perché il cuore deve supplire al fatto che i polmoni non funzionano come dovrebbero. Quindi il cuore è sottoposto a notevole stress mentre un soggetto indossa una mascherina.
In più i pochi studi disponibili hanno dimostrato che indossare una mascherina per un periodo di tempo prolungato porta al peggioramento della virosi respiratoria (malattie respiratorie causate da un virus), che è esattamente ciò che dovrebbe essere ridotto o evitato. In altre parole, i soggetti che indossano mascherine mostrano più sintomi di infezioni respiratorie.
Dobbiamo capire cosa succede nei polmoni di una persona quando si indossa la mascherina: il Ministero della Salute italiano afferma che il 95% di ciò che emette un soggetto potenzialmente contagioso è schermato. Quindi la domanda cruciale è: dove va a finire quel 95% schermato delle emissioni? Ebbene, rimane semplicemente all’interno della mascherina, inumidendola e creando un ambiente favorevole allo sviluppo dei germi, ma soprattutto viene parzialmente reinalata. Questo crea il rischio che una persona che indossa a lungo una mascherina, la quale scherma e impedisce una libera espirazione, si faccia da sola cicli di amplificazione del virus. Continuando a reinalare i propri virus, può spingerli in profondità nei polmoni e negli alveoli dove i virus non dovrebbero giungere. Nelle vie respiratorie superiori sono presenti difese adattative innate che “uccidono” la maggior parte dei germi con cui entriamo in contatto respirando. Ma negli alveoli polmonari, in profondità dei polmoni, queste difese mancano, proprio perché i germi non dovrebbero arrivare cosi profondi. Se troppi virus arrivano negli alveoli polmonari e si moltiplicano senza resistenza, quando finalmente arrivano gli anticorpi, dopo 10-14 giorni, invece di trovare una piccola quantità di virus, ne trovano quantità enormi. Ne consegue una battaglia formidabile che crea un’infiammazione molto alta. Questo è esattamente ciò che si osserva in molti casi di soggetti che, dopo una lieve insorgenza, dopo 10-14 giorni, presentano un’esplosione infiammatoria e un aggravamento.
Dovremmo quindi evitare di peggiorare la situazione di un asintomatico imponendo una barriera all’espirazione. Perché il rischio è che, continuando a inspirare a lungo i propri virus, si trasformarmi il soggetto in un sintomatico o in un paucisintomatico.
Indossare una mascherina è un compromesso. Pertanto, il suo utilizzo deve essere modulato e non imposto in circostanze in cui è più dannoso che benefico.
Ovviamente in alcuni casi indossare una mascherina è un’ottima idea (per il minor tempo possibile): all’interno di ospedali, in ambienti con un’alta concentrazione di soggetti potenzialmente infettivi, vicino a pazienti Covid, in mezzo alla folla, nei trasporti pubblici. ..
Ma all’aperto, tranne in circostanze molto speciali, indossare una mascherina è totalmente irragionevole. Non è possibile ricevere una carica virale sufficiente per essere infettati semplicemente camminando vicino ad una persona. L’OMS dice che devi stare a distanza ravvicinata da una persona infetta per almeno 15 minuti (anche all’aperto) per ricevere una carica virale sufficiente per essere infettato. Il contatto occasionale non ha particolare importanza, costituisce un potenziale rischio assolutamente irrilevante rispetto ai rischi della vita. Quindi all’aperto, tranne in circostanze speciali (affollamento, ecc.) le mascherine non servono affatto. L’unica cosa che possono fare è dare un senso di sicurezza alle persone che la indossano e potenzialmente danneggiare le persone che hanno problemi respiratori e cardiaci e così via. L’ex direttore di microbiologia di Berna ha dichiarato: “Sarebbe più saggio indossare un casco perché è più probabile che qualcosa ti cada sulla testa che essere infettato camminando senza mascherina”.
Indossare una mascherina è un compromesso, e come tutti i compromessi, è giusto spingersi fino al punto in cui i danni sono superati dai benefici e cessare quando i rischi iniziano a superare i benefici.
PREVENZIONE
Quasi nessuno parla di prevenzione e questo è molto pericoloso perché uno dei fatti assolutamente incontrovertibili del caso Covid è che i cosiddetti “pazienti sani” generalmente non si ammalano e se lo fanno non hanno complicazioni. I pazienti sani combattono il Covid con il loro sistema immunitario senza bisogno di molte terapie. E questa è un’enorme differenza. Pertanto uno degli obiettivi principali dovrebbe essere quello di promuovere stili di vita sani che riducano naturalmente l’infiammazione all’interno del nostro corpo. Queste sono cose basilari come mangiare sano, non fumare, bere poco o niente alcol, mangiare poca carne rossa, perdere peso se sovrappeso, fare attività fisica regolare e così via. Anche le vitamine C, D e B12 si sono dimostrate molto utili nella prevenzione del Covid. Insomma qualsiasi cosa si possa fare per ridurre le infiammazioni del corpo e aumentare l’efficacia del sistema immunitario andrebbe fatta!
Un’altro aspetto fondamentale che raramente viene toccato è che questa malattia va combattuta sul territorio e non in ospedale. Deve essere combattuta con e da medici di famiglia locali che arrivano velocemente ai pazienti e iniziano ad applicare le terapie precocemente. La medicina locale deve essere implementata.
Anche perché molto spesso i pazienti che arrivano in ospedale lo fanno dopo aver perso tempo e si presentano in condizioni complicate. Inoltre gli ospedali sono luoghi dove la malattia si diffonde ancora di più, diventa un’infezione nosocomiale (un’infezione che si contrae in un ospedale). Questo fa ammalare medici e infermieri, riduce il loro numero e il loro lavoro diventa ingestibile.
I malati vanno curati precocemente da casa, lasciando liberi i posti letto degli ospedali a pazienti con malattie molto più gravi come malattie cardiovascolari, tumori, ecc.
CONSEGUENZE MEDICHE MEDIO/LUNGHE DELLA CRISI
Oggi gli ospedali hanno interrotto la maggior parte delle attività non correlate al Covid. La maggior parte degli screening, dei controlli, delle visite mediche e così via è stata ridotta o rinviata. Ciò significa migliaia e migliaia di persone che non si sono fatte controllare il cuore, che non hanno fatto test per il cancro e/o altre patologie. La prevenzione di patologie altamente letali è in pausa e questo è molto molto pericoloso.
Inoltre i malati non vanno in chirurgia. Questo è ovviamente un grosso problema. Immaginate un paziente con un cancro operabile. Se passano 15-20 giorni senza intervento chirurgico, non succede nulla, ma se passano 3-4 mesi i problemi si accentuano e questo può portare a problemi molto molto seri in futuro. Perché il tumore non starà fermo; progredirà (diventando probabilmente inoperabile). Lo stesso si può dire per i pazienti con infarto miocardico acuto o ictus cerebrale e così via. Tutte queste altre patologie esistono ancora e devono essere trattate. Nei prossimi mesi migliaia di persone moriranno per mancanza di cure.
Vale anche la pena considerare che l’Istituto Superiore di Sanità italiano ha firmato un rapporto sull’attività motoria nel 2018 in Italia, in base al quale durante quell’anno si sono stimati 88.200 decessi dovuti al fatto che non si è fatta abbastanza attività fisica nella media della popolazione. Poco meno del doppio dei decessi che oggi vengono attribuiti al Covid19 (che sono 36.000 e rotti). Se pensiamo alla limitazione dell’attività motoria avvenuta con il lockdown, è probabile che la situazione nel 2020, per quanto riguarda i decessi per attività fisica insufficiente, aumenterà.
Infine le conseguenze delle misure estreme prese dalle autorità (lockdown, congelamento dell’economia…) avranno profonde conseguenze sulla salute psichica e sociale della popolazione. Abbiamo già visto picchi nel numero di morti per suicidio, overdose e così via.
Se la crisi economica e sociale continua vedremo emergere questi problemi sempre di più e problemi come la malnutrizione e forse la fame diventeranno seri rischi per la salute.
FINE DELLA PRIMA PARTE
Nella seconda parte di questo articolo tratteremo gli aspetti sociali, economici e politici della crisi.
Commenti recenti